Di prim’acchito potrebbe apparire sterile la proposta di mettere a confronto la “speculazione filosofica” con la “speculazione finanziaria”. Al di là del mero ricorrere di un medesimo lemma variamente connotato, sembra infatti che tra le due attività vi sia ben poco in comune ed è lecito sospettare che si sia in presenza di un termine più equivoco che analogo. La speculazione filosofica richiama infatti la ricerca del vero e il desiderio di conoscenza, garantendosi, per così dire, una connotazione estremamente positiva. Non così la speculazione finanziaria, la quale indica una ricerca rapace dell’utile personale, perseguita senza troppi scrupoli e a danno degli interessi altrui; un’accezione, quest’ultima, evidentemente assai negativa. Buona la prima, cattiva la seconda; distinzione banale e poco interessante come ogni divisione manichea.
A ben guardare, però, si potrebbero considerare le cose da un diverso punto di vista che ne rivela la complessità (rendendo tutto più interessante). C’è infatti un lato oscuro – direi quasi patologico – della pratica filosofica, che si contrappone alla fisiologia della sana ricerca di conoscenza. È il caso, banalmente, di chi ha di mira la notorietà personale più che la verità delle cose di cui parla e che per questo cerca di guadagnarsi il centro della scena assumendo posizioni volutamente paradossali o provocatorie; esperti del marketing intellettuale, capaci di guadagnarsi una credibilità pubblica senza curarsi troppo delle ricadute etiche (ed educative) del loro agire. È anche il caso, però, di chi si fa promotore di ideologie sofisticate, costruendo un mondo logico, perfettamente funzionante e teoreticamente affascinante, ma completamente staccato dal mondo reale. È questo il caso di autori non certo banali, dotati di rigore sistematico fuori dal comune, eppure espressione di un pensiero autoreferenziale, che, perso il contatto con le cose, si rivela tristemente sterile. Non così la filosofia capace di rimanere “agganciata alle cose” – quel sano realismo di cui sono campioni maestri come Aristotele, Tommaso d’Aquino, Maritain – che si rivela generativa di autentica conoscenza. Perché questa, in fondo, è la grandezza della (buona) filosofia: il suo mettersi al servizio della vita – per illuminarne il senso consentendo all’uomo di stare al mondo in modo più consapevole – e per favorire una piena fioritura dell’umano.
Così considerata la speculazione filosofica offre quindi una interessate chiave anche per guardare alla finanza; anche quest’ultima rappresenta in fondo un Giano bifronte che ha nel rapporto col reale la propria controprova. Vi è infatti un modo, virtuoso, con cui la finanza si rapporta all’economia reale, sostenendo il lavoro e la capacità d’impresa. Una finanza generativa, capace di riconoscere la centralità della persona e alleata di un’economia civile, impegnata a tenere assieme profitto, tutela sociale e ambientale, rispetto dell’uomo nella sua integralità. Ma, come nel caso della filosofia, vi è anche una finanza che prende congedo dal mondo reale, richiudendosi nella fredda logica algoritmica della massimizzazione del profitto.
È questo il caso, ad esempio, della cosiddetta “finanza casinò”, ovvero del trading ad alta frequenza – non a caso svolto da macchine – capace di ricavare piccole plusvalenze da un numero elevatissimo di transazioni fatte a ritmi velocissimi. Pratica, per restare solo a questo esempio, il cui carattere alienante è evidente dal fatto che l’uomo stesso è messo ai margini, ridotto a strumento di un capitalismo incivile che ha divorziato tanto dall’etica quanto da un’idea di mercato quale luogo di incontro e di valorizzazione delle relazioni interpersonali. E non è forse un caso che la speculazione veloce di questo modello finanziario – logico e perfettamente funzionante, ma drammaticamente infecondo – annulli quella temporalità di cui è impastata l’esistenza umana: quale idea di futuro, di investimento progettuale, di distensione nel tempo può esserci quando l’investimento nel futuro è dell’ordine della frazione di secondo? Se si perde la capacità di distendere lo sguardo nel tempo – facoltà così preziosa quando di mezzo ci sono le cose belle e grandi che rendono sensata la vita dell’uomo – forse è il segno che si è preso congedo dal mondo reale e che è tempo di fermarsi. Un campanello d’allarme a cui bisognerebbe dare ascolto, perché i danni della speculazione finanziaria possono essere, se non più gravi, sicuramente più concreti di quelli prodotti dalla (cattiva) speculazione filosofica.