Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. Opera passivamente, ma opera. […].
Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la storia della vita collettiva, e la massa ignora perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era attivo e chi era indifferente.
[…] Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura. […] Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti. (Antonio Gramsci, La città futura, 11 febbraio 1917)
Oggi più che mai in questa contingenza storica segnata dall’indifferenza, dalla “banalità del male” che prende corpo, le parole di Gramsci fanno eco, risvegliano, interrogano… Le città presenti e future sono sempre più martoriate dalla marginalità, dalla povertà, dalla guerra tra esclusi, dal degrado sociale e culturale, l’odio per lo straniero-clandestino, per il nero la fa da padrone.
Qualche mese fa, a Roma, in uno degli autobus che dalla periferia si dirigono verso il centro, un’anziana signora sputa e picchia con l’ombrello un immigrato-straniero di colore: “Guarda che schifo che sei. Siete schifosi. Vattene, torna al tuo paese”. Nessuno interviene, i passeggeri indifferenti, guardano la scena senza proferire parola. Il video registrato dal ragazzo circola immediatamente in rete.
Ancora qualche mese fa, su un freccia rossa Roma-Milano, un ragazzo immigrato di colore che non parla italiano al controllo del biglietto, si sbaglia e mostra un biglietto regionale. Un passeggero subito fotografa la scena e posta su Facebook la foto con un commento contro il “rifugiato”. L’odio si scatena sul web, il post ha 75.000 condivisioni e 120.000 like.
I post si colorano di razzismo e di odio: “arrivano senza controlli in Italia”, “approfittano della nostra accoglienza”, “non si deve avere pietà”, “vanno riaperte le camere a gas”. Da lì a poco, la notizia verrà smentita da Trenitalia. Lo straniero era in possesso del biglietto, aveva semplicemente sbagliato posto.
L’Italia è profondamente ferita, scossa dall’uccisione di una ragazza fatta a pezzi, il corpo sezionato, lavato con la varechina, riposto nelle valigie abbandonate sul ciglio della strada. Qualche giorno dopo la tentata strage di Macerata, strage aggravata dall’odio razziale, un giovane spara contro i cittadini inermi solo perché sono neri, rivendica giustizia per l’uccisione della ragazza fatta a pezzi. Una violenza atroce, inaccettabile, ma ciò che è ancora più inaccettabile è l’indifferenza. L’indifferenza è più forte della violenza. Nessun peso alle parole che sempre più contengono toni razzisti, la campagna elettorale si fa imprenditrice dell’odio e non manca di farsi promotrice di una politica contro gli immigrati-invasori. Immigrati, merce di scambio per accaparrare voti e consensi. Il significante razza risuona “con i migranti la razza bianca è a rischio”. Un brivido tocca il corpo e subito la memoria dell’orrore della Shoa ritorna.
Milano, binario 21, binario dal quale partivano i deportati-ebrei per i campi di concentramento. Oggi diventato Memoriale della Shoah, sul muro la scritta Indifferenza, scritta voluta da Liliana Segre, sopravvissuta alla Shoah, e recentemente nominata senatrice a vita dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Un atto straordinario, in occasione dell’ottantesimo anno dalla promulgazione delle leggi razziali.
Liliana Segre chiusa a lungo nel silenzio, inizia a testimoniare dell’orrore dopo essere diventata nonna. Non ne può fare a meno, è mossa da un dovere etico. La Segre proferisce con forza che “la memoria è il vaccino contro l’indifferenza”. Non manca di mostrare le sue preoccupazioni e le sue paure. Il giorno che non ci saranno più i sopravvissuti alla Shoah, tutto verrà dimenticato come vengono dimenticati i senza nome, i senza tomba che giacciano in fondo al Mar Mediterraneo. Un monito che fa riflettere.
Gramsci e Segre a distanza di un secolo scuotono le coscienze. E gli psicoanalisti? Un anno fa, Jacques Alain Miller ci risveglia. L’istante di vedere fa tremare. Il ritorno dei populismi e di derive neonaziste produce una risposta: i Forum contro Marie Le Pen in Francia e in Belgio. A Torino, maggio 2017, Miller con chiarezza nel suo discorso Elogio degli eretici, illumina la posizione dello psicoanalista. Lo psicoanalista è nella stessa posizione dello scettico, sospende il giudizio quando qualcuno viene a bussare alla sua porta. Ma è ben altra cosa se l’analista sospende il giudizio nella politica, e non sceglie cavalcando il muro dell’indifferenza.
Un nuovo vento soffia in Italia e in Europa, si ripropone un rigurgito di movimenti neo-fasciti, occorre essere partigiani, scegliere, non stare a guardare in silenzio. Un dovere etico ci muove, far cadere il muro dell’indifferenza e promuovere azioni. Azioni che derivano dalla lettura della realtà contemporanea, lettura che ci obbliga a non stare in silenzio un minuto di più.
Nel campo della politica occorre che ciascuno si faccia responsabile per far fronte alla crescente “ascesa del razzismo” e “all’estensione dei processi di segregazione”. Ma non possiamo esimerci da sottolineare la posta in gioco della scelta che introduce il desiderio dell’analista “un desiderio di ottenere la differenza assoluta”, (Lacan, 1964 (2003), p. 271), differenza insita nel godimento proprio a ciascuno. Scelta che può rendere più sopportabile lo stran(ier)o, lo strano che ci abita.
Per dirla con Lacan (1973; 2013 p. 528): “lasciare questo Altro al suo modo di godimento sarebbe possibile solo a condizione di non imporgli il nostro, di non considerarlo un sottosviluppato”. Il monito di Lacan, che profetizzava l’ascesa del razzismo negli anni 70, ci guida in una nuova lettura dell’odio e del razzismo contemporaneo. L’ odio non ha niente a che vedere con gli ideali, con l’ideale della razza e della identità nazionale da proteggere, ma punta a colpire il reale dell’Altro, il godimento dell’Altro.
Dunque ci troviamo a dover rinnovare ogni giorno la scelta di far fronte all’indifferenza e al tempo stesso sempre al lavoro per estrarre la differenza assoluta insita nel godimento proprio a ciascuno, mettendo tra parentesi la (in).
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