Una casa perennemente in costruzione, un cantiere sempre aperto, un progetto per il futuro. Sull’Unione europea si trovano definizioni infinite, molte delle quali, però, convergono sull’idea che la Comunità sia nata nel secondo dopoguerra per ovviare a problemi del passato (guerre, povertà, mancanza di diritti) e, al contempo, per prospettare un domani migliore. Negli ultimi decenni – approssimando, dalla caduta del Muro di Berlino in poi –, e con l’imporsi di fenomeni sempre più globali (finanza, internet, migrazioni, cambiamento climatico, solo per citarne alcuni), è parso che la “vocazione” dell’Ue, ricalibrata col Trattato di Maastricht, l’allargamento e l’euro, sia ora quella di cercare risposte a sfide storiche inedite, sempre più frequenti, pressanti, senza confini. Basti pensare che negli anni Duemila si sono succedute varie crisi: l’instabilità mondiale seguita alle Torri gemelle, la crisi dei subprime, poi quella migratoria, quindi il Covid, la guerra in Ucraina. Tutto questo mentre il Pianeta intero si costellava di conflitti, neocolonialismi, urgenze legate a indigenza, nuove negazioni dei diritti umani, minacce al Creato…
Nel frattempo l’Ue, non sempre in grado di stare al passo coi tempi, eppur capace di confezionare più volte risposte all’altezza delle emergenze, è diventata via via più importante per la vita dei cittadini dei Paesi membri. Così ora si può affermare – e misurare – come, nelle sedi di Bruxelles e Strasburgo, si assumano decisioni su democrazia e stato di diritto, economia e lavoro, sicurezza, sanità pubblica, politica industriale e agricola, tutela dei consumatori, Erasmus per i giovani, lotta al cambiamento climatico, rivoluzione digitale…
Va peraltro notato che le priorità sono cambiate: dinanzi alla risposta all’aggressione russa in Ucraina si è imposto il tema della difesa comune, relegando ad esempio in seconda o terza fila il cambiamento climatico oppure il fenomeno migratorio.
Con l’avvio della nuova legislatura dell’Europarlamento è già tempo di guardare avanti: se le questioni rimaste in sospeso verranno riprese in mano sul serio e con capacità innovativa, il quinquennio entrante potrebbe produrre risultati davvero interessanti per il futuro dell’Unione europea. Benché le incognite non manchino.
Va detto che dopo la Brexit e l’uscita del Regno Unito dall’Ue, con le pesanti conseguenze che i britannici stanno sperimentando, nessuno più in Europa parla di abbandonare l’Ue. Si sta forse comprendendo che è sempre più difficile immaginare un’Europa senza l’Unione europea, all’interno della quale rimane necessario costruire una vera unità di intenti, con passi avanti meno incerti nel tentativo di conciliare gli interessi comuni con le pretese di ogni singolo Stato membro.
Occorre del resto rafforzare le competenze di Parlamento e Commissione e mitigare l’eccessivo potere del Consiglio – il vero freno all’integrazione comunitaria – in cui sono rappresentati i singoli governi. Al centro dei processi decisionali vanno collocati i cittadini, le parti sociali, i territori, gli enti locali, con le rispettive esigenze e reali bisogni. Tutto questo anche per togliere ragioni, plausibili o meno, ai nazionalismi che guardano al passato e ai populismi che enfatizzano le paure. Perché il progetto europeo scommette sulle convergenze, sulla reciproca fiducia, sulla solidarietà. In una parola: guarda al domani.
Ci sono però capitoli nei quali la stessa Ue deve recuperare terreno, ruolo politico, voce univoca sulla scena internazionale.
Il primo di questi è la pace. La guerra in Ucraina ha fatto “scoprire” agli europei che la pace è fragile, sempre minacciata, ferita in troppe regioni del mondo e pure nel cuore del vecchio continente. L’Europa comunitaria non può rassegnarsi ai conflitti, al vocabolario bellico assunto negli ultimi due anni, a investire nelle armi. Perché nessun popolo uscirà mai vincitore da una guerra. L’Ue deve rimettere in campo la propria autorevolezza politica e diplomatica, insistendo ogni giorno fra i belligeranti (Russia e Ucraina, ma non solo) affinché ogni diatriba sia risolta proprio con la politica e non con spargimento di sangue e distruzioni.
In secondo luogo l’Ue deve rimanere terra della democrazia e dello stato di diritto. Un’Europa “faro di democrazia”, come avvertiva il compianto David Sassoli, ponendo al centro di ogni propria decisione e azione i cittadini coi loro bisogni, interessi e attese; nella quale le istituzioni, nazionali e comunitarie, abbiano ruoli complementari e svolgano reciprocamente il necessario “controllo democratico”. Uno spazio di libertà, in cui i diritti, assieme ai doveri, delle persone siano la prima preoccupazione dei rappresentanti e dei decisori politici.
E, a proposito di diritti, individuali e collettivi, s’impone – terzo ambito – il tema dell’equità sociale e della progressiva realizzazione di standard di vita paragonabili in tutta l’Unione. Sapendo che su questa strada saranno necessari decisi cambiamenti sul piano del lavoro, del fisco, dell’istruzione, della tutela della salute, della protezione dei consumatori.
Lo sviluppo sostenibile è il quarto fronte sul quale l’Ue27 è attesa a significativi cambi di direzione. Ciò in relazione al citato cambiamento climatico e, dunque, alla qualità della vita che attende gli stessi cittadini europei. Rimandare ogni decisione in tal senso con l’obiezione che gli altri paesi e continenti non agiscono con altrettanta determinazione non risolve il problema. L’Europa deve intraprendere con decisione la strada del Green Deal, prevedendo adeguate compensazioni per quei territori e settori maggiormente chiamati in causa. Ma una sterzata non può più essere rimandata.
Il quinto, ma non ultimo, capitolo è relativo ai rapporti con i Paesi terzi e con il mondo intero. L’Europa comunitaria nasce – sin dalla Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950 – con una vocazione internazionale. In questa linea si colloca il processo di allargamento dell’Ue ai Balcani e agli altri Paesi europei (Ucraina in primis), proprio con l’intento di estendere l’area di pace, democrazia e benessere che dovrebbe caratterizzare l’Unione europea. Non di meno, l’Unione europea deve maturare una condivisa visione dei rapporti con i “vicini di casa” in Africa e Medio Oriente e con gli altri protagonisti della scena mondiale, basando tali rapporti su quegli stessi valori che ne hanno plasmato il processo di integrazione.
Il mondo ha – oggi più che mai – bisogno di un’Europa della pace, della democrazia, della solidarietà, dei diritti umani. È forse questo il compito “profetico” dell’Ue di domani.