Ci sono quattro ragioni che rendono necessaria la creazione di beni pubblici europei, affidandone la gestione oggi alla Commissione europea e domani a un vero Governo europeo sotto il controllo dell’autorità di bilancio europea (Parlamento europeo e Consiglio): la prima ragione è legata alla dimensione transnazionale delle sfide; la seconda ragione è legata alla necessità di rafforzare il sentimento di appartenenza; la terza ragione è legata alla necessità di tradurre in concrete politiche europee l’obiettivo di una capacità fiscale europea; la quarta ragione è legata alla necessità di accompagnare la riforma della governance economica europea e delle regole per l’appartenenza e la partecipazione. Il programma di economia e finanza europea, in cui iscrivere l’obiettivo della creazione di beni pubblici europei, è dato dal Quadro Finanziario Pluriennale, sul quale il dibattito si svilupperà fin dalla fine del 2025…

Ci sono quattro ragioni che rendono necessaria la creazione di beni pubblici europei, affidandone la gestione oggi alla Commissione europea e domani a un vero Governo europeo sotto il controllo dell’autorità di bilancio europea (Parlamento europeo e Consiglio) e sottraendone le responsabilità di gestione ai Governi nazionali con l’obiettivo di rovesciare la logica del NGEU in cui le risorse e i poteri della sua attuazione furono attribuiti dal Consiglio europeo agli Stati membri seppure sotto il controllo della Commissione europea.

La prima ragione è legata alla dimensione transnazionale delle sfide a cui devono far fronte gli Stati membri collettivamente, al di là della capacità di azione dei singoli Governi nazionali individualmente considerati. Esse riguardano beni pubblici coerenti con la realizzazione degli obiettivi su cui si fonda l’appartenenza e l’adesione all’Unione europea (art. 3 TUE) e che cerchiamo qui di sintetizzare in dodici “unioni”:

  • l’unione per la salute
  • l’unione dell’energia
  • l’unione per l’intelligenza artificiale e per le tecnologie digitali
  • l’unione per la sostenibilità ambientale
  • l’unione per la prosperità condivisa
  • l’unione per le nuove generazioni
  • l’unione per la cultura
  • l’unione per la scienza e la ricerca
  • l’unione per la sicurezza interna
  • l’unione per la sicurezza esterna ivi compresa la difesa
  • l’unione per accogliere e includere
  • l’unione per la promozione industriale e per l’innovazione

La seconda ragione è legata alla necessità di rafforzare il sentimento di appartenenza all’Unione europea delle persone che vivono sul suo territorio e che ne devono comprendere l’essenziale valore aggiunto rispetto alla dimensione degli Stati nazionali.

La terza ragione è legata alla necessità di tradurre in concrete politiche europee l’obiettivo di una capacità fiscale europea, autonoma rispetto a quella dei Paesi membri: nuove e vere risorse proprie sono la condizione per la creazione di beni pubblici europei e la capacità fiscale autonoma dell’Unione europea sarà accettata da tutti solo se essa sarà fondata sulla condivisione di interessi collettivi.

La quarta ragione è legata alla necessità di accompagnare la riforma della governance economica europea e delle regole per l’appartenenza e la partecipazione all’Unione economica e monetaria – che si traduce inevitabilmente in precisi vincoli per i bilanci nazionali – da strumenti di “resilienza” europea a medio e lungo termine, al fine di consentire all’Unione Europea di agire nell’interesse delle persone che vivono sul suo territorio.

Il programma di economia e finanza europea, in cui iscrivere l’obiettivo della creazione di beni pubblici europei, è dato dal Quadro Finanziario Pluriennale: l’insieme delle sfide a cui dovrà rispondere l’Unione europea è aumentato in quantità e qualità, prefigurando la necessità di avviare a realizzazione le dodici “unioni” che abbiamo indicato più sopra.

Il dibattito sul nuovo Quadro Finanziario si svilupperà fin dalla fine del 2025 per coprire il periodo 2028-2032 a cavallo di due legislature, cosicché il futuro delle finanze dell’Unione europea dovrà entrare nel confronto fra Governi, Parlamento europeo, Commissione europea e Parlamenti nazionali.

La capacità fiscale europea sarà legata alla riforma del sistema istituzionale e decisionale: essa dovrà riguardare la suddivisione delle competenze fra Unione europea e Stati membri, i poteri delle istituzioni intergovernative (Consiglio europeo e Consiglio) e delle istituzioni sovrannazionali (Parlamento europeo, Commissione europea e BCE) insieme al superamento del metodo per rispondere alle emergenze fondato sull’uso straordinario delle “misure di solidarietà” previste dall’art. 122 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), rivelatosi un’utile base giuridica solo per reagire con rapidità alle conseguenze della pandemia e della guerra in Ucraina.

L’elenco dei beni pubblici europei dà la misura di quanto solo la dimensione europea sia in grado di far fronte all’inadeguatezza delle dimensioni nazionali. A titolo di esempio, nella politica dell’energia l’Unione europea avrebbe potuto e dovuto agire per “garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico”, “la promozione dell’efficacia energetica, le economie di energia e lo sviluppo delle energie rinnovabili e alternative”: quest’azione non c’è stata o non è stata sufficiente.

Lo stesso discorso vale per altri beni pubblici europei su cui l’Unione europea non ha potuto o voluto intervenire: alle persone che vivono sul suo territorio non sono attualmente garantiti i diritti all’uguaglianza e alla solidarietà insieme agli obiettivi di una tendenziale “piena occupazione” e del “progresso sociale” fissati dall’art. 3 TUE; non sono stati garantiti la sicurezza interna ed esterna, lo sviluppo sostenibile anche nella biodiversità, la nostra autonomia strategica nell’intelligenza artificiale insieme allo sviluppo della scienza e della ricerca riconosciute dalle Nazioni Unite nel 2020 come “diritto umano” e strettamente collegate al diritto alla salute.

Nella esemplificazione dei beni pubblici abbiamo indicato l’Europa “che accoglie e include” e cioè il governo dei flussi migratori legato, da una parte, al diritto di asilo sancito dall’art. 18 della Carta dei diritti fondamentali insieme alla protezione in caso di allontanamento, espulsione ed estradizione (art. 19) e, dall’altra, all’accoglienza e all’inclusione di chi fugge dalla fame, dai disastri ambientali e dall’espropriazione delle terre e che è qualificato come “migrante economico”.

Si tratta di competenze condivise o concorrenti su cui i Trattati esistenti, tramite la definizione del principio di sussidiarietà e delle procedure decisionali, sono intervenuti fissando regole in modo spesso confuso e talvolta contraddittorio: si è voluto insomma lasciare agli Stati membri il controllo dell’azione europea. Sulle pertinenti norme il Consiglio europeo è più volte intervenuto per decidere … di non decidere e, spesso, è prevalso nel Consiglio il principio del consenso anche quando i trattati prevedono il voto a maggioranza qualificata.

A questo proposito vale la pena di sottolineare i limiti della posizione, pur diffusamente sostenuta, secondo cui l’abolizione del solo potere di veto renderebbe più efficace il sistema decisionale europeo, mentre sarebbe necessario ridurre ad un ruolo meramente tecnico e consultivo la missione del Comitato dei Rappresentanti Permanenti e dei Comitati di gestione e imporre al Consiglio termini vincolanti per decidere, procedure generalizzate di codecisione con il Parlamento europeo e una massima trasparenza nei processi decisionali.

Vale anche la pena di ricordare che, mentre i Trattati attuali e il rapporto votato dal Parlamento europeo il 22 novembre 2023 prevedono che gli Stati membri non possano più intervenire laddove l’Unione europea abbia adottato uno specifico atto normativo, il progetto approvato dal Parlamento europeo il 14 febbraio 1984 chiariva invece che l’intervento dell’Unione europea all’interno di una competenza concorrente l’avrebbe trasformato in una competenza esclusiva, con il solo vincolo che la decisione fosse adottata attraverso una “legge organica”.

La garanzia di beni pubblici europei appare più difficile nelle aree che sono attualmente sottomesse alle competenze di sostegno che fanno parte delle unioni “industriale e dell’innovazione tecnologica”, della “cultura”, delle “nuove generazioni” e cioè l’educazione, la formazione professionale, la gioventù e lo sport così come per tutto l’ambito della politica estera, della sicurezza e della difesa: ciò richiede inevitabilmente la revisione dei Trattati.

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