Nella home page del suo sito c’è uno slogan che sintetizza molto bene il senso del suo impegno: “Ecologia, donne e comunità. Per una nuova passione politica”. Ci racconti di lei, della sua storia, del suo impegno in Legambiente e del suo percorso politico fino ad arrivare alla scelta del gruppo Misto MAIE-PSI-Facciamo ECO
La mia grande fortuna è stata di aver iniziato facendo le grandi campagne di Legambiente, come Goletta Verde e l’operazione fiumi, viaggiare sul territorio per porre problemi ma anche avere la responsabilità di proporre delle soluzioni, sempre con una concretezza territoriale. Io dico sempre di essere stata cresciuta dai circoli di Legambiente, quindi dai volontari dell’associazione. In Legambiente sono entrata nel ’94, nel 2007 sono diventata direttrice generale, che ho fatto per otto anni, e poi presidente. Dopo ho avvertito che dopo tanti anni nell’associazionismo e nel volontariato potevo dare il mio contributo nelle istituzioni, perché uno dei limiti del sistema italiano è la separazione tra la società covile e la politica. Naturalmente grande responsabilità è della politica ma anche l’associazionismo ha ormai maturato un grande rifiuto perché la politica ha deluso.
Ho quindi voluto provare a entrare nelle istituzioni e per me diventare parlamentare era un sogno considerato cosa rappresenta per me la storia repubblicana nel nostro paese; quindi, per me è stato un grande onore e una grande occasione. Devo dire che questa mia breve esperienza parlamentare sono confermati i valori che mi ha insegnato Legambiente, come il fatto che in politica innanzitutto bisogna sapere. Einaudi diceva che bisogna conoscere per deliberare, ed è proprio così. Bisogna assolutamente garantire di conoscere le situazioni, il territorio, specialmente in un paese come il nostro in cui il ruolo delle comunità specialmente sul fronte ambientale è fondamentale.
Per noi ambientalisti la partecipazione, la trasparenza, il diritto alla salute e al lavoro pulito sono temi enormi; anche di rigenerazione della società. Anche il ruolo dei cittadini, che per noi non sono mai stati quelli che ogni cinque anni passano nella cabina elettorale – e anzi, adesso neppure quello più fanno – ma invece sono quelli che costruiscono processi di trasformazione e di partecipazione. Tutto questo ovviamente fa paura alla politica, almeno per quello che ho potuto vedere, perché c’è l’idea della delega della rappresentanza. Io credo che nel nostro paese in particolare sia fondamentale garantire la partecipazione e la trasparenza per favorire la comunicazione tra politica e società civile che è uno dei grandi principi dell’attività legislativa.
Nel passato sei stata impegnata anche nel movimento studentesco e hai fatto parte dell’Unione degli Studenti come responsabile nazionale dello sportello legale CGIL dedicato agli studenti.
Si, nel sindacato ero insieme ad altro responsabile degli studenti e questo mi ha insegnato la contrattazione e il valore della vertenza, della rappresentanza dei diritti. Il sindacato è stato una grande scuola di azione.
In Parlamento segue i lavori di tre Commissioni parlamentari: Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici; commissione di inchiesta sulle attività illecite nel ciclo dei rifiuti e sugli illeciti ambientali ad esse correlati; commissione per l’infanzia e l’adolescenza. Quali sono le questioni più rilevanti sui cui state lavorando e che sono cruciali per lo sviluppo del Paese?
In questo ultimo anno il lavoro delle commissioni è rallentato molto. L’esautoramento di fatto del Parlamento riguarda anche il lavoro delle commissioni perché come sappiamo bene negli ultimi due anni col Covid la decretazione d’urgenza ha totalmente soverchiato i processi di discussione e lavoro nelle varie commissioni. Nella commissione d’inchiesta sul traffico illecito dei rifiuti però abbiamo lavorato a lungo sul tema dei rifiuti radioattivi, che in questo momento è centrale perché proprio nelle ultime settimane stiamo facendo quel processo di partecipazione e trasparenza per individuare il sito dove realizzare il deposito unico delle scorie radioattive che abbiamo anche noi nonostante abbiamo chiuso l’avventura nucleare nel 1986.
Questo è un tema che riguarda tantissimo la politica energetica del paese, la sicurezza dei territori e stiamo ancora cercando il modo di affrontare questa eredità pesante. In commissione ambiente abbiamo lavorato tantissimo sul piano nazionale di ripresa e resilienza e quindi sono temi che si incrociano. La commissione infanzia, devo dire la verità, ha un ruolo ancora più istituzionale. Quando ho affrontato il tema della cosiddetta sindrome da alienazione parentale, che è lo strumento repressivo col quale i tribunali stanno conoscendo storie agghiaccianti di figli tolti alle madri solo perché hanno denunciato un padre violento, poi ho fatto una interrogazione parlamentare in aula perché credo su questi temi vi sia poco spazio, come se vi fosse una azione trasversale che non vuole far conoscere certi fatti. Noi non abbiamo idea di quanti siano i minori in Italia ospitati presso case famiglia e questa è una cosa gravissima.
Di recente ha duramente criticato la scelta compiuta dalla Camera di bocciare la sua risoluzione che impegnava il governo a battersi in Europa affinché gas e nucleare rimanessero fuori dalla tassonomia verde, ovvero da quelle attività considerate green e su cui quindi nei prossimi anni convergeranno risorse importanti, sia pubbliche che private. Può spiegarci meglio?
E’ stato un voto che ho voluto fortemente per togliere un po’ di alibi. A parole siamo tutti green però quando si va in Europa e si fanno scelte come la allocazione delle risorse che sono la vera sostanza della politica l’essere green molte volte viene meno. Sostanzialmente l’Italia si è accodata all’idea per cui tra le attività ritenute ambientalmente sostenibili e quindi finanziabili ci possa essere il nucleare e il gas.
In realtà secondo me si tratta di un accordo un po’ da retrobottega tra Francia e Italia con la Francia che vuole difendere il nucleare mentre la Germania ne sta uscendo. In cambio all’Italia viene consentito di puntare sul gas. Il gas è un elemento di transizione ma dobbiamo intenderci su quanto deve durare questa transizione, perché continuare ad investire sul gas vuol dire continuare a legare il nostro sistema energetico a un modello del passato e a una fonte fossile. Può essere una soluzione di transizione ma non può ricevere finanziamenti che invece guardano allo sviluppo sostenibile. Proprio oggi in commissione bilancio per la manovra finanziaria ho presentato per l’ennesima volta, all’ennesimo governo un emendamento in cui chiedevo di aumentare le royalties alle compagnie che nel nostro paese estraggono petrolio, e di nuovo è stato bocciato. C’è una grande incoerenza: da una parte si chiede che sul gas arrivino fondi pubblici mentre dall’altra non siam o in grado di dire alle compagnie che se prendono il nostro gas devono pagarlo al giusto prezzo e questa è la contraddizione di un sistema che ha poca intenzione di cambiare. Mi sembra che si un meccanismo che fa finta di cambiare per mantenere il più possibile tutto com’è.
Rispetto alle scelte sulle questioni più rilevanti, come ad esempio la riduzione delle emissioni, COP-26 sembra aver fallito ancora. Perché? Cosa va fatto per affrontare in modo serio al tema del riscaldamento globale e le altre questioni legate alla tutela ambientale?
La COP26 potremmo considerarla un successo se avessimo tempo da perdere, nel senso che una COP-26 chiusa in questa maniera quindici anni fa io l’avrei considerata un grande successo; chiusa in questo modo nel 2021 mi fa dire: ancora siamo messi così? Certo, si è riconosciuto collettivamente che bisogna stare sotto un grado e mezzo di riscaldamento ma tutto quello che in concreto ci si aspettava, come il finanziamento ai paesi in via di sviluppo per aiutarli nella mitigazione climatica – i famosi 100miliardi di dollari – non è arrivato. Non solo i paesi storicamente più responsabili dell’inquinamento non intendono cambiare ma neppure intendono pagare i costi di quei paesi che stanno subendo maggiormente non solo il passato inquinamento ma anche il presente mutamento climatico.
Se ci fossero stati quei soldi forse i paesi inquinatori, come Cina e India, sarebbero stati più disponibili a parlare di obiettivi più ambiziosi. Ma al netto di ciò l’idea secondo cui siccome gli altri fanno poco allora anche noi facciamo poco è una idea completamente sbagliata. Se c’è un continente cui conviene correre sul tema della transizione ecologica è l’Europa; e non perché tutti gli europei devono diventare ambientalisti ma perché il nostro continente deve puntare sull’innovazione, sulla tecnologia e sullo sviluppo sostenibile per recuperare un ruolo di leader internazionale anche da un punto di vista economico. Non capire questo mi fa dubitare della capacità di visione dei nostri politici. Angela Merkel non è una ambientalista, anche se è stata ministro per l’ambiente, ma ha capito che sull’automotive bisognava puntare sull’elettrico perché ha letto i dati del mercato internazionale e ha capito che su quello possiamo competere. Ovvero sull’innovazione tecnologica. Su tutto questo nella COP-26 c’è poco ma penso anche che sia ingiusto pensare che un vertice internazionale che si svolge una volta l’anno possa risolvere problemi su cui noi non lavoriamo tutto l’anno. Per questo credo è importante sottolineare la delusione ma è molto più grave la scelta sulla tassonomia europea, perché questa dipende direttamente da noi e fa capire che siamo bravi ad andare al G20, alla Cop26 a fare grandi discorsi ma quando si tratta di prendere le decisioni e mettere i soldi la direzione è tutt’altra.
A Taranto la Chiesa e i cattolici italiani si sono assunti degli impegni rispetto al tema di uno sviluppo umano, economico e ambientale sostenibile. Hanno mostrato la presenza di molte buone pratiche diffuse. Cosa si può fare per indirizzare le scelte politiche ed economiche del Paese nella direzione indicata da Papa Francesco?
Ho seguito tantissimo. Ricordiamoci che nel 2015 gli accordi di Parigi sono stati firmati anche perché arrivato un papa che ha scosso i potenti dicendo parole importantissime e scritto una bellissima enciclica che secondo me è “femminista” e rivoluzionaria, perché se si legge al netto delle parti più religiose l’enciclica tiene assieme i grandi temi etici, morali e spirituali con temi molto concreti come la raccolta differenziata. È una enciclica che ha ben presente il ruolo centrale della comunità e da questo punto di vista sicuramente la Chiesa e le comunità di fedeli possono essere motori del cambiamento, dei centri propulsori di cambiamento. Spesso attorno alle parrocchie si sviluppa la comunità, magari nei luoghi più marginali; quindi, penso sia bellissimo collegare le attività che le parrocchie realizzato dal punto di vista sociale con il tema delle comunità energetiche, che non è solo una questione tecnologica ma anche di organizzazione sociale e di esposizione personale di condivisione delle scelte. Immagino che questi possano essere luoghi in cui questo meccanismo viene facilitato e incoraggiato. Oltre al fatto che avere un tetto fotovoltaico su ogni chiesa d’Italia sarebbe veramente bello. Ricordo che l’unico grande impianto fotovoltaico a Roma è nella Città del Vaticano, sul tetto della Sala Nervi, a dimostrazione del fatto che se il fotovoltaico è fatto bene non è affatto impattante. Il problema è che è a Roma sono perché non è nello stato italiano.
Lei fa parte dell’ufficio di presidenza di Green Italia, tra i garanti della missione collettiva Mediterranea, tra le promotrici de “Le Contemporanee start-up sociale digitale per la parità di genere” e del Forum Diseguaglianze e Diversità. Ci spieghi il senso di questo impegno. Perché lo sviluppo del Paese e del mondo passa necessariamente per la lotta alle varie forme di disuguaglianza? Che ruolo può e deve avere il green per lo sviluppo dell’Italia e dell’Europa?
La questione ambientale racchiude una serie di temi che viaggiano in parallelo. Pensiamo alle donne ad esempio. Nella green economy sono tantissime le imprese portate avanti da donne e spesso le innovazioni ambientali hanno una firma femminile. La questione ambientale è stata per molto tempo disconosciuta e ha bisogno adesso di uno sguardo orizzontale, complessivo, di sistema che è tipicamente femminile e che trova nella innovazione tecnologica anche una ricaduta in termini di impresa. Io penso a imprenditrici come Daniela Ducato che ha innovato e rinnovato tutto il tema del riutilizzo dei rifiuti come nuova materia. Ho conosciuto esperienze straordinarie come quelle ragazze che hanno fondato una azienda in provincia di Catania che produce tessuto dagli scarti delle arance. Ci sono centinaia di storie di innovazione ambientale che spesso hanno firme femminili.
Ugualmente credo che tutto il tema di lotta alla povertà e dell’accoglienza e dell’umanità verso i fenomeni immigratori c’entro. Io ho avuto la fortuna di garantire col mio stipendio da parlamentare l’acquisto di una imbarcazione, la Mar Ionio, di proprietà di Mediterranea con la quale abbiamo salvato quasi mille persone dalla morte sicura. Per me è stato un grande onore e stiamo lavorando per collegare sempre più il tema delle migrazioni col tema dei cambiamenti climatici, perché i migranti ambientali sono ormai una realtà enorme e segnalo che presto anche gli italiani saranno forse presto migranti ambientali visti i fenomeni che si stanno scatenando nel nostro Paese. Credo inoltre che la lotta alle diseguaglianze e alla marginalità sociale possa trovare delle risposte in chiave ambientale sia nel metodo che nel merito. Tornando al tema delle comunità energetiche queste sono un grande strumento di lotta alla povertà energetiche che esiste anche nel nostro paese, dove tante famiglie fanno fatica a scaldarsi e a vivere in case accoglienti. Collegare questi temi per me è la chiave per collegare la politica e convincere le persone che c’è bisogno di buona politica.
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