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Proponiamo un’intervista ad Andrea Citron – Componente Direzione Nazionale Acli con delega all’Ambiente – realizzata dalla redazione di Benecomune.net

“Dobbiamo prima di tutto riconoscere il legame imprescindibile che esiste tra l’equilibrio della natura e la sopravvivenza dell’umo, da qui il nostro impegno e la massima attenzione alla cura di quella casa comune che oggi è a un passo dal non poterci più garantire quell’accoglienza necessaria alla nostra vita. Un impegno, non più rinviabile che ci porta a fare nostre le parole del Papa che ci ricorda che “siamo chiamati a diventare gli strumenti di Dio Padre affinché il nostro pianeta possa essere quello che Egli ha sognato nel crearlo e risponda al suo progetto di pace, bellezza e pienezza”

Sei Componente Direzione Nazionale Acli che ti ha attribuito la delega all’Ambiente? Quali sono gli obiettivi che intendi portare avanti sul piano associativo?

Come aclisti dobbiamo prima di tutto riconoscere il legame imprescindibile che esiste tra l’equilibrio della natura e la sopravvivenza dell’umo, da cui il nostro impegno e la massima attenzione alla cura di quella casa comune che oggi è a un passo dal non poterci più garantire quell’accoglienza necessaria alla nostra vita. Un impegno, quindi, non più rinviabile che ci porta a fare nostre le parole di Papa Francesco che ci ricorda che “siamo chiamati a diventare gli strumenti di Dio Padre affinché il nostro pianeta possa essere quello che Egli ha sognato nel crearlo e risponda al suo progetto di pace, bellezza e pienezza”.

Abbiamo il compito di stimolare una maggiore consapevolezza nei decisori politici, nel mondo produttivo e d’impresa oltre che nelle parti sociali, che è davvero giunto il momento di cambiare il nostro modello di sviluppo, sostituendo le fonti fossili con le energie rinnovabili, incrementando il trasporto “green”, riducendo ogni forma di spreco alimentare e favorendo il recupero delle eccedenze; investendo su stili di vita sempre più sostenibili e in grado di ridurre la nostra impronta ecologica.

Ambiente e sviluppo non sono due questioni contrapposte, ma devono procedere insieme per il bene di tutti noi. Ecco perché, attraverso la nostra presenza capillare su tutto il Paese, possiamo promuovere un deciso cambio di marcia in grado di avvicinarci ad una vera conversione ecologica, ascoltando così il grido di aiuto che ci viene dalla Terra e dagli ultimi delle nostre società, i poveri, coloro che più di tutti soffrono, in ogni parte del mondo, gli effetti di uno sviluppo non più sostenibile.

Dentro un mondo in profondo e continuo cambiamento, ora particolarmente segnato anche dalle conseguenze della pandemia oltre che da quelle da tempo conosciute di una terribile crisi ecologica, ci sentiamo, come aclisti, coinvolti nella ricerca di un senso che indichi vie concrete di futuro e speranza. Futuro inteso come sviluppo armonico e sostenibile, che non alimenti le disuguaglianze, la logica dello scarto e quella predatoria che sfrutta in modo incontrollato le risorse della terra.

Questi temi che ci legano alla promozione dell’economia circolare, nella convinzione che il tradizionale modello economico lineare, fondato sullo schema “estrarre, produrre, utilizzare e gettare” non sia più possibile. Per questo ci stiamo impegnando, insieme ad altri, verso una progettualità che punta ad estendere il ciclo di vita dei prodotti, contribuendo a ridurre i rifiuti e lo spreco.

Da ultimo serve contrastare energicamente e senza perdere ulteriore tempo quel degrado socio-ambientale che negli ultimi due anni si è intrecciato e rafforzato con i drammatici fenomeni pandemici legati alla diffusione del Covid 19. Da qui il nostro impegno nella promozione della tutela della salute che non può essere disgiunta dalla salvaguardia dell’ambiente, oltre che il continuo richiamo alla necessità di un lavoro che deve essere dignitoso, libero, creativo per tutti e soprattutto non in contrasto con i diritti della nostra “casa comune” e di una vita salutare.

La scelta delle Acli nazionali di aderire al Movimento Laudato si’ segnala la volontà di inserirsi in un cammino ecclesiale e no, ma anche in un processo di grande rilevanza? Che ricadute ha questa scelta rispetto alla formazione degli animatori Laudato si’ e alle attività ed iniziative delle Acli sia a livello nazionale che territoriale?

Condividiamo con il Movimento Laudato sì’ un grande obiettivo: ispirare e mobilitare la comunità cattolica a prendersi cura della nostra “casa comune” e realizzare la giustizia climatica ed ecologica. Il Movimento ha come fondamento l’enciclica di Papa Francesco, e tutto quello che fa e promuove, dalla Settimana Laudato Sì al corso per animatori, ad essa si ispira. E lo fa attraverso i circa 25mila animatori Laudato sì nel mondo, persone per lo più impegnate in realtà parrocchiali, religiose e associative, ma anche semplici cittadini che, condividendo il richiamo all’ecologia integrale, si vogliono mettere a disposizione della propria comunità.

Ci siamo impegnati a favorire la relazione e il confronto tra i nostri circoli e quelli del Movimento promuovendo territorialmente anche l’adesione al Movimento Laudato Sì e alle iniziative che esso propone. Convinti che insieme possiamo rendere ancora più forte la voce di chi si impegna per la salvaguardia del creato. Uniti nella solidarietà verso i più vulnerabili e in linea con le esortazioni della scienza che invita affrontare senza perdere altro tempo l’emergenza climatica, siamo profondamente convinti che l’umanità non possa essere sana in un pianeta malato. Così come non possiamo dimenticare che i popoli indigeni e le comunità locali sono al centro della protezione della natura e per questo vanno particolarmente sostenuti. Riconoscendo inoltre che la crisi climatica e il collasso delle biodiversità sono crisi gemelle, ribadiamo il diritto di tutte le specie di esistere. Ogni vita, umana e no, ha valore e non solo se è utile all’uomo.

Forti di questi principi condivisi abbiamo aderito alla Petizione globale “Pianeta Sano. Persone Sane” e sottoscritto, in preparazione alla COP26, una lettera aperta al Presidente del Consiglio Mario Draghi, in cui lo si esortava, in occasione della Conferenza di Glasgow ,a promuovere un maggior impegno della comunità internazionale a contrastare il cambiamento climatico e proteggere la nostra “casa comune” in nome dell’ecologia integrale.

Il Movimento Laudato si’ ha accolto l’appello urgente per la cura del creato, lanciato da Papa Francesco nel 2015 con l’enciclica Laudato sì? Come indirizzare lo sviluppo verso la prospettiva indicata dal paradigma dell’ecologia integrale?

Non c’è più tempo per indugiare: ciò che è necessario è una vera transizione ecologica che possa trasformare in sostenibili alcuni presupposti di fondo del nostro modello di sviluppo e rinnovare i nostri stili di vita sia nelle relazioni interpersonali che nel rapportarci con la madre terra. Dobbiamo esser capaci di cambiare in profondità il nostro esser parte di questo pianeta, consapevoli dell’urgenza, per salvaguardarlo, di realizzare quella conversione ecologica verso cui ci sprona il VI capitolo della “Laudato Sì”.

Allo stesso tempo, tale cambiamento deve essere giusto, ovvero non penalizzare, soprattutto sul piano occupazionale, le persone che possono più pesantemente subire le conseguenze della transizione. Il grido di aiuto ci arriva, infatti, sia dalla terra che dai poveri che abitano questa terra. I numerosi appelli degli esperti di tutto il mondo, raccogliendo i dati e i risultati delle ricerche più avanzta in ambito climatico, ci invitano tutti, dai singoli individui ai maggiori leader politici, a contrastare fenomeni che non solo mettono a rischio il benessere, la salute umana sul medio lungo periodo e la stabilità socio-economica, ma arrivano a porre seri dubbi sulla abitabilità futura del nostro pianeta, a partire da alcune aree già compromesse oggi.

Il cambiamento climatico continua ad avanzare con danni sempre più visibili e insostenibili. L’ultimo rapporto IPCC sullo stato delle conoscenze fisico-scientifiche sui cambiamenti climatici mostra, con più forza dei precedenti, che i cambiamenti climatici già in corso ed evidenti in tutto il pianeta, sono inequivocabilmente causati dalle attività umane e implicano fenomeni di portata millennaria oramai irreversibili, come la de-glaciazione e l’aumento dei livelli marini.

La prima risposta a questi inviti ad agire per la terra è la consapevolezza che tutti possiamo contribuire, che nessuno è escluso da questo richiamo alla conversione ecologica. Anche ogni piccolo contributo a ridurre la nostra impronta ecologica, a rendere il nostro stile di vita più sostenibile è un utile aiuto alla causa della salvaguardia del pianeta. Mentre a livello di politiche globali di lotta al cambiamento climatico sono alcuni i punti su cui dobbiamo insistere in quella che non deve sembrarci una battaglia ormai persa e per questo inutile. Come cristiani sappiamo “che c’è sempre una via d’uscita, che possiamo sempre cambiare rotta” (Laudato sì, 61). In particolare dobbiamo portare a compimento l’impegno ad azzerare entro la metà del secolo le nostre emissioni, contenere l’aumento delle temperature entro il grado e mezzo, accelerando l’eliminazione del carbone, riducendo la deforestazione ed incrementando l’utilizzo di energie rinnovabili.

È necessario supportare i paesi più vulnerabili con gli aiuti necessari a mitigare gli impatti dei cambiamenti climatici, per la salvaguardia delle comunità e dei loro habitat naturali. Evitando così le conseguenti migrazioni alla ricerca di nuove terre abitabili. A tale scopo si devono trovare strumenti finanziari dedicati a sostenere i paesi nel minimizzare le perdite e i danni subiti in conseguenza dei cambiamenti climatici.

Veniamo alla COP26. Rispetto alle scelte sulle questioni più rilevanti, e a partire dalla riduzione delle emissioni, che bilancio si può trarre? La COP ha fallito ancora. Perché? Cosa va fatto per affrontare in modo serio il tema del riscaldamento globale e le altre questioni legate alla tutela ambientale?

Indubbiamente erano molte le attese rispetto alla Conferenza di Glasgow e le speranze di chi vedeva in questo appuntamento forse l’ultima occasione per poter incidere per davvero sul fronte del cambiamento climatico. Ma altrettanto certa era l’inevitabile difficoltà a mettere d’accordo tutti i rappresentanti dei Paesi presenti. Infatti, in quello che è un processo partecipativo, se da un lato si prova a spostare l’asticella degli obiettivi sempre più in alto, rendendoli molto ambiziosi, dall’altro ci si deve confrontare con la necessaria mediazione che porti a convergenze accettate da tutte le quasi 200 nazioni presenti. Del resto, il G20 di Roma che aveva preceduto di qualche giorno la COP 26, l’asticella l’aveva alzata, in materia di clima, con molta cautela, facendo attenzione a non urtare le diverse sensibilità e interessi dei “grandi”. Tanto che Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, così si espresse a fine lavori: “lascio Roma con le mie speranze insoddisfatte, ma non ancora ridotte in cenere”.

Un segnale emerso dai lavori di Glasgow e in particolare dai discorsi di alcuni leader politici nella prima giornata è stata l’influenza esercitata dalla decisiva pressione di milioni di giovani mobilitati negli ultimi anni in una rete mondiale attiva sul fronte delle richieste ambientali. Pressione che valorizza anche la nostra convinzione che tutti possiamo contribuire con le nostre azioni e il nostro pensiero alla lotta al cambiamento climatico.

Passando ai risultati della Conferenza possiamo citarne principalmente tre. Per la prima volta viene riconosciuto che l’obiettivo delle politiche climatiche deve essere quello di mantenere la temperatura globale entro un aumento massimo di 1.5°C rispetto all’epoca preindustriale. Solo 6 anni fa, con l’Accordo di Parigi, ci si era proposti come obiettivo i 2°C: indubbiamente aver portato tutte le nazioni presenti ad un impegno più stringente può essere considerato a ragione un ottimo segnale.

Certo già oggi viviamo, drammaticamente, un incremento medio di 1.1°C; questo significa che le politiche climatiche dei vari paesi dovranno essere aggiornate alla luce di tale riferimento, essendo evidente che con quanto previsto l’obiettivo del grado e mezzo di incremento non potrà essere rispettato.

Va evidenziato, inoltre, che a Glasgow per la prima volta nelle conferenze sul clima delle Nazioni Unite si è espressamente citato il carbone quale combustibile più dannoso. Certo il passaggio all’ultimo minuto nel testo dal “phasing out” (eliminazione) al “phasing down” (limitazione) del carbone, imposto dall’India, non ci permette di parlare di un risultato storico, ma è altrettanto evidente che Paesi come India, Cina, Sud Africa e Australia, e le “europee” Serbia e Polonia, che dipendono dal carbone per il 60-80% della generazione elettrica, hanno bisogno di tempo per eliminarne l’uso e convertirsi sulle fonti rinnovabili.

Altro risultato positivo della Conferenza è l’aver stabilito lo stop alla deforestazione entro il 2030. Decisione molto ampia cui hanno aderito fra gli altri anche la Cina e la Russia, con un impegno di 12 miliardi di dollari per la riforestazione a livello mondiale, in particolare in Amazzonia, nel bacino del Congo e in Indonesia. L’impegno del G20 fatto proprio dalla COP26, è quello di piantare mille miliardi di alberi nei prossimi anni.

Chiudiamo con Taranto. La Chiesa e i cattolici italiani si sono assunti degli impegni rispetto al tema di uno sviluppo umano, economico e ambientale sostenibile. Hanno mostrato la presenza di molte buone pratiche diffuse. Come tradurre in azione tutto questo? Cosa si può fare per indirizzare le scelte politiche ed economiche del Paese nella direzione indicata da Papa Francesco?

Le parole di Mons. Filippo Santoro (nella foto), Arcivescovo di Taranto e Presidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane Sociali, a conclusione dell’evento, riassumono alla perfezione lo spirito con cui si sono svolti i lavori a Taranto: “Ora dobbiamo dare un contributo concreto, di essere noi stessi una risposta, perché non ci capiti che il nostro lavoro vada a sommarsi alle maree di opinioni e che non si traduca in cura paziente e amorosa per la nostra terra”.

Con questo spirito e questa voglia di essere concreti rispetto ai problemi della nostra quotidianità si sono affrontati più temi. A partire dalla necessità di rimettere il lavoro al centro dei processi formativi. Per ridurre ulteriormente, e in misura più consistente, la disoccupazione giovanile, si deve intervenire in modo strutturale potenziando la formazione professionale nel sistema educativo italiano. La svolta potrà esserci con il PNRR che prevede un massiccio investimento sugli Istituti Tecnici Superiori per 1,6 mld di euro e sulla formazione abilitante. Occorre però essere oculati nell’utilizzo di queste risorse per non rischiare di sprecarle.

Nel corso delle giornate di lavoro è emerso in maniera molto forte che dobbiamo essere noi il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo. Sostenere alcune proposte di riforma per l’ecologia integrale comporta prima di tutto la “conversione” dei nostri stili di vita, come singoli cittadini e come comunità.

Mi soffermo, tra le mote emerse, su due possibili azioni di conversione e di generatività futura per le nostre strutture di base e le tante realtà che ruotano attorno al sistema Acli.

La prima è la costruzione di comunità energetiche. Nel nostro Paese vi è una quota ancora troppo limitata di produzione di energia da fonti rinnovabili. Le comunità energetiche attraverso le quali gruppi di cittadini o di imprese diventano produttori di energia, che in primo luogo permette di ridurre i costi in bolletta anche vendendo in rete le eccedenze prodotte, sono una grande opportunità dal basso per provare a superare questo limite. Queste sono, inoltre, un’occasione per rafforzare i legami interpersonali tra cittadini, che condividendo scelte concrete in direzione del bene comune trovano il modo di saldare conoscenze e appartenenze associative e parrocchiali. Come Acli possiamo impegnarci affinché più circoli presenti in tutta Italia prendano in considerazione di avviare un progetto e diventare quindi comunità energetiche.

La seconda azione è quella della finanza responsabile. Nella Laudato si’ Papa Francesco parla di uscire progressivamente dalle fonti fossili. Possiamo spingere affinché le nostre Acli e gli aclisti sparsi in ogni angolo del Paese diventino “carbon free” nelle loro scelte di gestione del risparmio utilizzando il loro voto col portafoglio per premiare le aziende leader nella capacità di coniugare valore economico, dignità del lavoro e sostenibilità ambientale coerentemente con le numerose prese di posizione nella dottrina sociale della Chiesa che evidenziano il ruolo fondamentale del consumo e del risparmio sostenibile come strumento efficace di partecipazione di tutti alla costruzione del bene comune. Anche questa sarebbe un’importante azione dal basso di sostegno alla lotta al cambiamento climatico.

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