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Dietro il Porcellum si cela una visione della rappresentanza “monarchica”, perché Il confronto fra le idee si risolve in un confronto fra aspiranti premier, e “dispotica”, perché il meccanismo di scelta dei parlamentari esalta l’autoreferenzialità della politica. Questo alimenta la distanza tra elettori ed eletti.

Il Porcellum costringe alla coalizione e impedisce ai cittadini di scegliere i loro rappresentanti. L’incentivo fortissimo alla coalizione venne proposto come soluzione al problema della stabilità dei governi e delle loro maggioranze, intesa come premessa della governabilità.

La lista bloccata avrebbe dovuto impedire gli effetti perversi della doppia “competizione” generata dalle preferenze, che trasformano i candidati della propria lista in avversari e finiscono più facilmente per dare allo scontato lip service della promessa elettorale la tangibile concretezza del voto di scambio.

I fatti hanno dimostrato non solo che il prezzo era alto, ma anche che è stato pagato invano.
Coalizioni nate semplicemente per vincere non garantiscono stabilità, ma solo una tregua che dura fino alla spartizione dei seggi: la loro solidità è inversamente proporzionale alle dimensioni e alla retorica sacralizzazione dei programmi sui quali dovrebbe poggiare la loro credibilità.

Parlamentari che devono la loro elezione ad un leader tenderanno proprio per questo ad essergli fedeli fino a un certo punto, cioè fino a quando dura la sua capacità di aggregare consenso: la cooptazione si rinnova ad ogni legislatura e fra un’elezione e l’altra, come si sa, non c’è vincolo di mandato…

È arrivato il momento di affrontare il vero problema etico del Porcellum. Questo sistema elettorale è funzionale ad una visione “monarchica” e “dispotica” della rappresentanza. Monarchica, perché risolve il confronto fra idee in un confronto fra aspiranti premier, restando questa l’unica scelta lasciata al popolo, titolare costituzionale della sovranità. Dispotica nel senso kantiano del termine, perché il meccanismo di scelta dei parlamentari esalta l’autoreferenzialità della politica e tradisce il desiderio di eliminare ogni dialettica reale fra potere legislativo ed esecutivo, raccolti e risolti nell’unzione elettorale del“re” (leader carismatico o volto televisivo di una oligarchia di partito) e dei suoi cerchi più o meno magici. Forse è proprio per questo che nessuno vuole davvero buttare il Porcellum. Ma si può seriamente sostenere che è questo il modo per restituire lo scettro ai cittadini?

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