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L’orizzonte della generatività davanti a noi deve aiutarci a identificare con chiarezza la strada da percorrere per dare più dignità e bellezza al lavoro. Siamo consapevoli che non esistono tappeti rossi o strade spianate ma abbiamo anche visto che lentamente e progressivamente l’umanità si batte per aumentare senso e significato del proprio esistere mettendo in discussione strutture ed istituzioni che erano state conquiste della generazione precedente e sono solo punti di partenza per le generazioni presenti e future

Nella classifica del benvivere delle provincie italiane di due anni fa Milano era nei primissimi posti della classifica dell’indice composito e al primo posto in materia di lavoro. Vibo Valentia (la provincia che ha nel suo territorio la bellissima zona di Tropea) all’ultimo posto. Il mio commento conclusivo sconsolato al rapporto era che fosse impossibile conciliare lavoro e bellezza (intesa nel senso come possibilità di ammirare un panorama e delle bellezze naturali).

Non sapevo che sarei stato smentito prestissimo. La pandemia, assieme a tante tragedie, ci ha dato una lezione fondamentale. Il lavoro è fatto di incontri che possono essere svolti faccia a faccia in presenza, ma anche a distanza. E l’esercitazione forzata di smart work ha riportato manager ed esperti migrati dai loro territori di origine in città e borghi natii. Il lavoro a distanza ha reso possibile conciliare efficienza e bellezza. E oggi siamo a discutere del migliore dei mondi possibili dove potremo combinare il lavoro in presenza con quello a distanza in nuove forme. La rivoluzione dello smart work è un primo modo (anche se parziale e non esaustivo) di riconciliare lavoro e bellezza e di creare un bilanciamento migliore tra vita di lavoro e vita familiare e di relazioni.

Ma la bellezza del lavoro ha molte alte dimensioni intrinseche che possiamo ricollegare ai famosi quattro aggettivi (libero, creativo, partecipativo e solidale) coniati da papa Francesco in occasione di un suo famoso discorso. Le politiche del lavoro del futuro e l’azione dal basso di cittadini e buone pratiche sono chiamate nei prossimi anni a muovere verso quest’orizzonte ideale. In primis, non basta creare posti di lavoro quantitativamente parlando ma diventa essenziale anche cercare di puntare alla qualità del lavoro.

Durissima da questo punto di vista la provocazione di un sociologo, Graeber, in un libro di successo con un titolo provocatorio come “lavori del cavolo” (ed è una traduzione edulcorata del titolo inglese) dove sottolinea come milioni di persone si alzano la mattina sapendo che lavoro che faranno è inutile o addirittura dannoso. E quale obiettivo migliore può e deve esserci nella nostra vita individuale e nella nostra azione politica e sociale se non quello di rendere giorno dopo giorno il lavoro nostro e degli altri più libero, generativo, partecipativo e solidale? Ovviamente il percorso di progresso e crescita non va realizzato solo dal lato oggettivo ma anche da quello soggettivo. In molti casi siamo e possiamo essere noi a riscoprire le dimensioni di senso già esistenti e possibili o ancora da potenziare del nostro lavoro. In un famoso racconto Raul Follereau parla di due operai a cui un passante chiede cosa stessero facendo. Il primo risponde infastidito “non lo vedi? Metto un mattone sull’altro”, il secondo invece replica illuminato “sto costruendo una cattedrale!”

Il Rapporto sul Benvivere delle provincie italiane che presenteremo a Firenze il 24-26 Settembre nella terza edizione del festival dell’economia civile illustra utilizzando circa 300,000 osservazioni come la combinazione di creatività e capacità di avere un impatto positivo sulla vita degli altri (combinazione che chiamiamo generatività) rappresenta assieme alla qualità della vita di relazioni una delle dimensioni fondamentali della soddisfazione e ricchezza di senso di vita. La generatività è la bellezza del lavoro che ci aiuta a risolvere il nostro problema di cercatori di senso. Evitando quella trappola di povertà di senso del vivere che ha portato negli Stati Uniti alla morte di circa 158,000 persone per overdose da oppioidi generando quell’epidemia di morti per disperazione studiata a fondo dal Nobel Angus Deaton ospite al festival a Firenze.

In che modo, oltre che imparando a cogliere meglio il senso di quello che facciamo, possiamo oggettivamente rendere più bello e generativo il lavoro? In primo luogo, è essenziale risolvere in Italia il problema del disallineamento tra domanda ed offerta.

Abbiamo infatti il paradosso di circa 2 milioni di giovani che non lavorano né studiano (caduti nella trappola della povertà di senso del vivere) e, contemporaneamente, 200mila posti di lavoro vacanti, ovvero posizioni per cui non si trovano persone adatte a ricoprire il ruolo. È evidente da questo punto di vista la necessità di una riforma dei percorsi scolastici, del rapporto tra scuola e mondo del lavoro nei percorsi di alternanza e di un modello di formazione continua che aiuti i processi di riallocazione della manodopera come nel progetto del governo di Garanzia Occupazione Lavoro.

Altra questione centrale e collegata riguarda le regole del commercio internazionale. Se come Unione Europea abbiamo regole più severe sulla dignità del lavoro non possiamo poi subire la concorrenza sleale di imprese che producono in paesi che quelle regole non le rispettano. Il commercio internazionale appare oggi come un “campionato di calcio” dove mancano regole ed arbitri e rischia di vincere la squadra più fallosa. Per questo motivo è molto importante l’inserimento della proposta di border tax adjustment che l’Unione Europea ha inserito nel programma “FitFor55”.

L’idea è quella di imporre un prelievo fiscale ai prodotti di imprese estere che vogliono vendere sui mercati dell’Unione e non rispettano i nostri standard ambientali in modo da livellare il campo da gioco tra le nostre e quelle imprese. La stessa cosa andrebbe fatta nell’ambito del mercato del lavoro avendo l’accortezza di utilizzare sistemi come le parità di potere d’ acquisto che consentono di comparare costi della vita in paesi diversi.

La rivoluzione della bellezza del lavoro deve attraversare anche il mondo del welfare. La generatività qui significa non trasformare la persona ai margini in una retta pagata ad una struttura ma investire sulla persona stessa attraverso un opportuno percorso di relazioni di cura e di “dignificazione”.

L’esempio più attuale da questo punto di vista sono i budget di salute applicati ad esempio al campo della disabilità psichica dove la relazione con un’equipe di esperti e il reinserimento lavoro in cooperative di agricoltura sociale migliora sensibilmente la vita dei destinatari del percorso riducendo gli oneri per lo stato o le amministrazioni regionali. E ulteriore elemento di progresso è tutto quel nuovo percorso di co-progettazione e co-programmazione che vede fianco a fianco amministrazioni ed enti di terzo settore nel disegno di nuove politiche di welfare sempre più efficaci e generative.

L’orizzonte della generatività davanti a noi deve aiutarci a identificare con chiarezza la strada da percorrere per dare più dignità e bellezza al lavoro. Siamo consapevoli che non esistono tappeti rossi o strade spianate ma abbiamo anche visto che lentamente e progressivamente l’umanità si batte per aumentare senso e significato del proprio esistere mettendo in discussione strutture ed istituzioni che erano state conquiste della generazione precedente e sono solo punti di partenza per le generazioni presenti e future

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