La bellezza nella Bibbia non è tanto una questione di estetica, che pure è apprezzata sia quella delle persone che della natura, quanto una questione di etica, di ciò che è buono. E’ buono, infatti, ciò che corrisponde all’intenzione del creatore.
La bellezza/bontà è correlata alla giustizia, cioè alle relazioni tra Dio, l’uomo e il creato, che sono vere se manifestano la cura e la custodia della vita dell’altro, in tutti i sensi.
Oggi, con la questione ecologica che preme alle nostre coscienze un po’ intorpidite nell’Occidente opulento rispetto al resto dell’umanità, il ritorno al messaggio biblico è fondamentale. Infatti, nella Bibbia la giustizia è una delle categorie centrali.
La relazione di giustizia (opposta alla relazione ingiusta) è quella che rispetta, promuove e porta a compimento il senso di ognuno dei soggetti; in altre parole, la giustizia è quella qualità (o virtù) della relazione per cui ad ognuno è dato quello che gli spetta come soggetto e che lo fa vivere in modo dignitoso e creativo.
Fin dall’inizio la Bibbia ci mostra che cosa è buono/bello per Dio: «Dio vide che era cosa buona» (Gen 1). Allo sguardo di Dio creatore, tutta la creazione è buona/bella, cioè corrisponde all’ordine voluto da Lui. Il Signore si compiace soprattutto dell’uomo fatto a sua immagine e somiglianza: «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gen 1,31). Per questo l’uomo, fatto a immagine di Dio («E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò» (Gen 1,27), è chiamato a vivere secondo l’ordine di Dio, che è quello di generare alla vita. Il primo comandamento, infatti, è quello di procreare e di custodire la vita proprio come fa Dio: «Dio li benedisse e disse loro: Siate fecondi e moltiplicatevi…» (Gen 1,28).
Di quale persona si dice si dice che è benedetta, cioè si dice bene? Di quella che è capace di dare vita a sé e all’altro, insieme. Per questo il Signore è benedetto e anche gli uomini lo sono. Il lavoro è benedetto se dà la vita, la vita è benedetta se genera vita, per questo entrambi possono essere detti belli/buoni. È la bellezza dell’amore che genera vita!
Giovanni ci dice che Gesù è «il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore» (Gv 10,11). C’è una relazione di amore che caratterizza la vita tra il pastore e le pecore del suo gregge, simbolo della relazione tra Gesù e noi. È una relazione caratterizzata dalla cura per l’altro e per se stessi al medesimo tempo, secondo il comandamento dell’amore: «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Mc 12,31).
Gesù si sente amato dal Padre: «Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo» (Gv 10,17), e per questo ama a sua volta, perché l’amore si diffonde come lievito nella pasta e farla diventare pane, cibo di vita per tutti.
Gesù, amando noi come sé stesso, realizza la propria vita e la rende bella/buona.
Il Padre si è compiaciuto di Gesù al battesimo nel Giordano: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (Mc 1,11). Il compimento della vita di Gesù passa attraverso passione, morte e resurrezione del mistero pasquale. Gesù mostra il volto buono e misericordioso del Padre non annientando i suoi persecutori, ma salvando anche loro, perché non sanno quello che fanno.
«Ecco l’uomo» (Gv 19,5), dice Pilato, «Ecco il vostro re» (Gv 19,14), mostrando Gesù flagellato e incoronato di spine. L’ironia di Giovanni qui si fa maestra di vita. L’uomo che ci salva, Gesù, è sfigurato, come il servo di Isaia: «Ecco, il mio servo avrà successo, sarà onorato, esaltato e innalzato grandemente. Come molti si stupirono di lui – tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo -, così si meraviglieranno di lui molte nazioni […] Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi» (Is 52,13-15.53,2).
Gesù è uno scartato da noi, come direbbe oggi papa Francesco, eppure è colui che ci salva. E’ la bellezza dell’amore che si fa capace di sostare nel male e nel dolore, di farsi prossimo in queste vicende, di reggere il male del mondo senza farsi travolgere, ma continuando a testimoniare la misericordia di Dio, che si fa vicino, senza ambiguità.
E’ il bello/buono dell’amore che Gesù ha testimoniato fino alla fine, fedele a quella figura di Dio che ha conosciuto e praticato fin da quando era piccolo, educato da Maria e Giuseppe, due giusti d’Israele. Gesù ha così manifestato la gloria del Padre, il suo splendore, l’essenza unica e originaria di Dio: «Dio è amore» (1Gv 4,8).
Paolo è consapevole di tutto ciò: «Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Romani 12,2). Siamo chiamati a una conversione continua per accedere al pensare stesso di Dio.
L’inno di Fil 2,6-11 («Egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò sé stesso assumendo la condizione di servo…») che mostra il percorso del Figlio che si incarna è proposto da Paolo ai suoi interlocutori invitandoli ad avere la stessa capacità di giudizio di Gesù. Il testo greco che la Bibbia CEI traduce con «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5) in greco ha questa sfumatura: abbiate in voi la stessa capacità di giudizio, di discernimento di Cristo Gesù. Paolo ci invita con audacia a compiere ciò che ha compiuto Gesù incarnandosi per la nostra salvezza.
E’ il mistero di Dio che si fa bello/buono a modo suo: «Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani […] quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla tutte le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio» (1Cor 1,22-24.28-29).
Il dono della vita bella/buona viene gratuitamente da Dio e siamo chiamati a donarla a nostra volta con gratuità: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8), perché la Legge «e qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: Amerai il prossimo tuo come te stesso. La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge è infatti la carità» (Rm 13,9-10).
«Vivere l’esistenza umana come l’ha vissuta Gesù Cristo non è la vocazione/il destino/la predestinazione riservata a pochi eletti — i santi, i religiosi, i cristiani —, ma è la vocazione comune rivolta a tutti gli uomini, senza eccezione o discriminazione: ogni uomo ha solo questo destino e solo in questo destino può trovare il senso della sua esistenza.
Immediatamente è da correggere l’idea che Gesù Cristo abbia vissuto l’esistenza umana in modo troppo alto, o correlativamente l’idea che all’uomo comune sia impossibile vivere l’esistenza umana come l’ha vissuta Gesù Cristo. Contro tutte le possibili obiezioni, sta il fatto pregiudiziale e incontestabile che ogni uomo è creato precisamente per vivere l’esistenza umana come l’ha vissuta Gesù Cristo e senza alternative. E a superare tutte le obiezioni, è da precisare che se è impensabile riuscire a vivere come Gesù Cristo da soli, con le proprie capacità e debolezze, in realtà questo non è richiesto a nessuno; ciò che è proposto a ogni uomo è invece di vivere con Gesù Cristo e solo conseguentemente come Gesù Cristo. In altri termini, la possibilità di vivere come Gesù Cristo deriva agli uomini da Gesù Cristo stesso: egli, infatti, comunica loro il suo Spirito, lo Spirito Santo, così che, principio di vita in lui, diventi principio di vita — il medesimo principio — anche in loro. Dallo stesso principio non può che fluire la medesima vita» (G. Colombo, L’ordine Cristiano, Glossa 1993).
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