La nuova Strategia Energetica Nazionale (SEN) è un passaggio importante per orientare la nostra economia alla sostenibilità e al futuro, per capire se l’Italia ha colto la posta in gioco. Rispetto alla “vecchia” SEN che è stata rapidamente superata dai fatti, la proposta iniziale del Governo è positiva. A partire da una base conoscitiva condivisibile e dal lavoro comune del Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in maniera da integrare pienamente la SEN con gli impegni presi a Parigi sul contenimento dei mutamenti climatici, i cui effetti sono sempre più evidenti.Oggi parlare di Strategia Energetica Nazionale, di mutamenti climatici, significa affrontare una sfida non solo ambientale ma economica, tecnologica, geopolitica, sociale e culturale senza precedenti. E’ quindi necessario porsi obiettivi al tempo stesso ambiziosi e praticabili. Sono già in atto cambiamenti formidabili. Pensiamo alla produzione dell’energia elettrica: l’obiettivo di eliminare totalmente il carbone nei prossimi anni e puntare al 100% di rinnovabili nel 2050 è oggi assolutamente alla portata. Per non parlare del settore della motorizzazione privata con la Tesla, l’azienda di auto elettriche californiana fondata da Elon Musk, che ha superato in borsa le quotazioni della Genel Motors. E l’AD di General Motors, Mary Teresa Barra, ha dichiarato che nei prossimi anni le automobili cambieranno più che negli ultimi 50 anni. Cambiamenti che sono anche sociali e culturali. Pensiamo al diffondersi dell’uso delle biciclette e del car-sharing: una variante del “voto col portafoglio”, cara al mio amico Leonardo Becchetti, che rappresenta un formidabile strumento di pressione dal basso per costruire un’economia più a misura d’uomo. Symbola ha sempre cercato di ragionare sul futuro guardando all’Italia con occhi diversi. C’è una frase di Proust molto bella, che dice “un vero viaggio di scoperta non è cercare nuove terre ma avere nuovi occhi”. Abbiamo enormi problemi – non solo il debito pubblico, ma anche le diseguaglianze sociali, la mancanza di lavoro, l’economia in nero, quella criminale, il ritardo del Sud, una burocrazia spesso soffocante – possiamo affrontarli solo chiamando a raccolta i talenti e le energie disponibili.
La visione di Symbola e i rapporti prodotti in questi anni ci dicono che se l’Italia scommette sulla qualità trova il suo posto nel mondo. Una tesi confermata anche dall’aumento del nostro export. I nostri rapporti: “Green Italy”, sulla green economy, “Io sono cultura”, sul valore aggiunto prodotto dalle industrie culturali, “Coesione è competizione”, su imprese, territori e comunità, lo dimostrano. Si vede così che il 26.5% delle nostre imprese hanno fatto investimenti in campo ambientale e sono quelle che crescono ed innovano di più, esportano di più, producono più posti di lavoro. Il 44.5% dei nuovi posti di lavoro prodotti nel 2016, circa 250.000, hanno competenze green. O che le imprese che sono più “coesive”, che hanno migliori relazioni con i lavoratori, le comunità, i territori crescono di più e producono più posti di lavoro. Vale in molti paesi del mondo, ma in Italia in particolar modo: essere buoni insomma è anche conveniente. Una consapevolezza che può dar forza ad un cambiamento positivo.
Il G7 ambiente di Bologna ha confermato la linea emersa a Taormina: gli Usa sono isolati e i Sei andranno avanti con gli impegni sul clima assunti con l’Accordo di Parigi. Che ruolo può avere l’Europa e l’Italia?
Trump forse ci ha fatto un favore tenendo fede agli impegni elettorali e mettendo in discussione gli Accordi di Parigi. La sua posizione ha compattato gli altri paesi e in particolare ha messo assieme Germania, Francia e Italia nel difendere un’idea di Europa che scommette sulla lotta ai mutamenti climatici anche per rilanciare l’economia. Bisogna andare avanti su questa strada, tenendo presente che oggi il ruolo e la posizione della Cina sono molto diversi rispetto al passato. Rispetto ad esempio al 2009, quando si mise di traverso durante i lavori della Cop di Copenaghen: ora la Cina si presenta in tutti i consessi internazionali dichiarando la sua volontà di tenere fede agli accordi sul clima.
L’Europa ha quindi una grande occasione per riscoprire la sua anima, per concepirsi – come dichiarava il preambolo della Carta dei diritti Fondamentali dell’Unione Europea – come “spazio privilegiato della speranza umana”. L’Europa vista a Taormina e poi a Bologna sembra aver ritrovato nella partita del clima una sua missione chiave nel puntare ad un’economia a misura d’uomo. Un punto di vista che era anche dell’America di Obama ed ora risuona con forza nelle parole della Merkel, di Macron, di Gentiloni. Molto meno per la verità nel nostro dibattito politico interno.
Come e perché gli Obiettivi di sviluppo sostenibile 2015-2030 e la Laudato si’ possono rilanciare il multilateralismo?
Il multilateralismo è un passo obbligato. La politica di Trump produrrà dei danni non solo per ciò che riguarda l’economia ambientale. Larga parte degli Usa, dei suoi attori economici più importanti va da un’altra parte rispetto al Presidente. Ad esempio lo Stato della California sta seguendo gli obiettivi dell’Europa rispetto alla questione climatica. La politica di Obama ha cercato di gestire un approccio multilaterale. Come è noto l’Accordo di Parigi ha stabilito di destinare ingenti risorse finanziarie per aiutare i Paesi più deboli: l’obiettivo della road-map è creare un green-fund da 100 miliardi di dollari l’anno fino al 2020, con l’impegno ad aumentare i fondi per l’adattamento e la cooperazione internazionale. La mancanza dei contributi promessi degli USA può essere un problema se non verrà sostituita dalla Cina. Penso, ad esempio, ai Paesi africani che si affacciano sul Mediterraneo, in cui spesso i mutamenti climatici producono povertà, conflitti, migrazioni. Gentiloni ha annunciato uno stanziamento di 30 milioni di euro da parte del governo italiano nei prossimi tre anni per far fronte a una delle crisi umanitarie più gravi al mondo: quella che sta colpendo i Paesi del bacino del Lago Ciad (di cui fanno parte oltre alla Nigeria anche Camerun, Ciad e Niger); quasi 11 milioni di persone. Bisogna ricordare che negli ultimi trenta anni la superficie del lago Ciad si è ridotta da 25mila kmq (più grande della Lombardia) del 1963 a meno di 2000 dei nostri giorni (più piccolo della Valle d’Aosta). Proprio alcune zone a ridosso del Lago sono diventate le roccaforti di Boko Haram. Il tema della stabilità e lo sviluppo economico del Camerun e dell’intera sotto-regione è cruciale per il futuro dell’Africa centrale e del Sahel e l’Italia, con Paolo Gentiloni, lo ha capito bene. La tutela ambientale è sempre più collegata allo sviluppo economico, alle tensioni internazionali, ai flussi migratori.
Quale è la portata innovativa della Laudato sì’ in campo sociale, economico, politico oltre che ambientale? Perché oggi la crisi ambientale e crisi sociale non possono essere più separate?
La “Laudato si’” è il tentativo più serio, sistematico e fertile di leggere i tempi che ci è dato vivere. Vi è una verticalità e una ampiezza della riflessione senza precedenti. Si parla della pianificazione urbanistica, del degrado umano e ambientale, della questione climatica, dell’acqua della biodiversità, del ruolo della tecnologia, della crisi finanziaria, del ruolo della politica con espressioni suggestive, straordinarie. Con parole molto chiare. Cito una passaggio tra i molti che mi hanno colpito: “Il paradigma tecnocratico tende ad esercitare il proprio dominio anche sull’economia e sulla politica. L’economia assume ogni sviluppo tecnologico in funzione del profitto, senza prestare attenzione a eventuali conseguenze negative per l’essere umano. La finanza soffoca l’economia reale. Non si è imparata la lezione della crisi finanziaria mondiale e con molta lentezza si impara quella del deterioramento ambientale. In alcuni circoli si sostiene che l’economia attuale e la tecnologia risolveranno tutti i problemi ambientali, allo stesso modo in cui si afferma, con un linguaggio non accademico, che i problemi della fame e della miseria nel mondo si risolveranno semplicemente con la crescita del mercato. Non è una questione di teorie economiche, che forse nessuno oggi osa difendere, bensì del loro insediamento nello sviluppo fattuale dell’economia. Coloro che non lo affermano con le parole lo sostengono con i fatti, quando non sembrano preoccuparsi per un giusto livello della produzione, una migliore distribuzione della ricchezza, una cura responsabile dell’ambiente o i diritti delle generazioni future. Con il loro comportamento affermano che l’obiettivo della massimizzazione dei profitti è sufficiente. Il mercato da solo però non garantisce lo sviluppo umano integrale e l’inclusione sociale (tesi n. 109)”.
L’enciclica coglie molto bene il nesso tra crisi finanziaria, crisi sociale e ambientale mostrando un forte impianto umanistico, che afferma senza mezzi termini come le migliori qualità umane debbano essere messe in campo per eliminare una cultura e una logica dello scarto oggi dilagante. La Laudato si’ è un documento di grande forza che ha avuto un impatto positivo sulle scelte del mondo ed in particolare sui lavori della COP21 di Parigi.
Che nesso esiste tra disuguaglianza sociale ed economica e questione ambientale?
Bisogna costruire un’economia a misura d’uomo, fondata sulle relazioni comunitarie, che scommetta sulla bellezza, sulla qualità, sulla conoscenza, sull’innovazione, sul paesaggio e la coesione sociale. Questa è la strada per ridurre le disuguaglianze tra le persone e i territori valorizzando il nostro patrimonio. La cultura è nel nostro dna e grazie ad essa possiamo costruire un futuro all’altezza della nostra storia. L’Italia infatti è forte se fa l’Italia, se scommette su ciò che la rende unica e desiderata nel mondo. Come sostiene lo storico Carlo Cipolla “l’Italia ha la vocazione di produrre cose che piacciono al mondo”. La via italiana allo sviluppo non può essere quella di competere con altri Paese riducendo i diritti o la salvaguardia dell’ambiente. La nostra storia ci dice che la bellezza produce bellezza, che deriva anche dalla capacità di curare e sviluppare le relazioni.
Gli Obiettivi di sviluppo sostenibile 2015-2030 adottati dall’ONU, possono cambiare profondamente il modo di concepire la questione ambientale sul piano politico?
Credo proprio di si. Qui vedo una missione per l’Europa e per le sue culture fondative. Anche se non mancano spinte di segno diverso, ad esempio nei paesi dell’Est, la missione dell’Europa, la sua forza morale, il suo soft-power è coerente con gli” Obiettivi di sviluppo sostenibile 2015-2030” adottati dalle Nazioni Unite.