Pretendere oggi che una banca presti senza interesse sarebbe come chiedere al panettiere di vendere il pane al prezzo della farina. Non riconoscendo il lavoro prezioso che la banca svolge (o che dovrebbe svolgere) e che consiste nel destinare il denaro raccolto agli impieghi più redditizi e verso il finanziamento di progetti d’investimento destinati a creare ulteriore valore economico. Tra le funzioni invisibili ma fondamentali della banca ci sono quelle di ripartire il rischio tra più soggetti e nell’arco del tempo, di trasformare le caratteristiche delle attività finanziarie e di assumersi il rischio di tenere in portafoglio attività illiquide (i prestiti non immediatamente esigibili) a fronte di passività illiquide (i depositi immediatamente esigibili). Tutte attività importanti che richiedono tempo e devono essere remunerate.
Al centro del rapporto tra etica e finanza troviamo nel medioevo la nascita dei monti di pegno e delle prime banche e, in tempi più recenti, la nascita delle banche di credito cooperativo e delle banche popolari e Raffeisen. Queste banche si propongono di favorire l’accesso al credito di una platea più vasta di imprese e famiglie trovando modalità nuove per risolvere il problema della mancanza di garanzie reali o di ricchezza liquida e cercando di superare i limiti del famoso detto per il quale le banche prestano soldi soltanto a chi già li ha. La storia ci insegna che l’energia necessaria per avviare lo stato nascente di gran parte delle banche attuali proviene da motivazioni profondamente ideali (si pensi alla Compagnia San Paolo e alla nascita delle Casse di Risparmio) e, come in un ciclo di vita dell’istituzione bancaria, tale motivazione ideale progressivamente cede il passo al pragmatismo della realtà degli affari.
La linfa della finanza e della banca etica viene recentemente rinnovata da microcredito, banche etiche e fondi etici. Con il microcredito la tradizione di intermediari finanziari che cercano modi per finanziare soggetti sprovvisti di garanzie reali (i non bancabili) vive un profondo rinnovamento partendo proprio dai paesi del sud del mondo. L’esperienza della Grameen è solo l’esempio più noto di moltissimi intermediari finanziari dei paesi poveri ed emergenti che risolvono i tradizionali problemi generati dalle asimmetrie informative tra banca e cliente (selezione avversa dei prestatari, rischio morale e fallimento strategico) attraverso modalità nuove come quelle del prestito di gruppo a responsabilità congiunta, del prestito progressivo o del collaterale nozionale. Il tentativo di trapiantare il microcredito in Italia copiandolo senza modifiche dal modello del sud del mondo va incontro ad alcuni inconvenienti. La materia prima dell’attività di microfinanza (individui poveri con spirito imprenditoriale e progetti produttivi redditizi) è ben più abbondante in quei paesi che da noi.
In Italia e in Europa la microfinanza si diffonde per tentativi ed errori in mille piccoli rivoli che si strutturano quasi sempre in un modello a tre pilastri: una banca formalmente erogatrice del credito, un’organizzazione terza a cui il lavoro di selezione dei potenziali beneficiari (che avrebbe costi non coperti dai ricavi se svolto direttamente dal personale bancario) è delegato, e un fondo di garanzia che riduce il rischio a cui partecipano in proporzione da definire la banca erogatrice ed associazioni o amministrazioni locali interessate allo sviluppo dell’iniziativa. L’ulteriore sviluppo del microcredito in Italia appare di recente ulteriormente favorito dalla nuova legislazione che consente per prestiti al di sotto di una certa soglia alle stesse associazioni ed enti non bancari promotrici dell’iniziativa di erogare il credito.
Gli eventi a mio avviso più interessanti occorsi in tempi più recenti nel rapporto tra etica e finanza sono senz’altro quelli della nascita delle banche etiche e dei fondi etici. L’esperienza di Banca Etica in Italia, e quelle per certi versi simili anche se non sovrapponibili delle banche dei valori che insieme a Banca Etica fanno parte della Global Alliance for Banking on Values rappresentano un impulso nuovo e fondamentale. Con Banca Etica nasce una banca che non ha la finalità di massimizzare il profitto ma piuttosto quella di dare il maggior contributo possibile al bene comune orientando la raccolta verso il finanziamento di progetti che devono passare non solo il vaglio della redditività e sostenibilità economica ma anche quello della sostenibilità sociale ed ambientale.
In questo modo Banca Etica di fatto vota con il proprio portafoglio crediti per quelle iniziative d’investimento che più contribuiscono al bene comune. Nel mio lavoro di presidente del comitato etico della banca ho individuato 23 differenze significative tra Banca Etica e le banche tradizionali che costituiscono il vantaggio etico competitivo e che rappresentano un benchmark di riferimento importante per tutti gli intermediari finanziari che vogliano percorrere il sentiero del rapporto tra etica e finanza. Tra le 23 differenze la governance democratica e partecipativa e i fondi etici partecipati dalla banca.
L’ingresso sul mercato di un pioniere come Banca Etica e il consenso da essa ricevuto dai cittadini che votano col portafoglio per una banca più attenta ai valori della sostenibilità sociale ed ambientale ha avuto il pregio di produrre effetti di imitazione nel resto del sistema. Un’esperienza molto interessante e rilevante da questo punto di vista è stata la nascita di Banca Prossima e la diffusione di emissioni obbligazionarie “etiche” da parte di altri intermediari finanziari tradizionali sul mercato.
La storia dei fondi d’investimento etici è anch’essa molto importante e promettente. L’idea del cittadino che vota con il proprio portafoglio premiando le aziende all’avanguardia nella responsabilità sociale ed ambientale è stata assunta proprio dai fondi etici che, a loro volta, con i risparmi affidatigli dai cittadini, votano con il loro portafoglio investendo tali risparmi nelle aziende quotate che superano soglie significative di responsabilità sociale ed ambientale. I dati più recenti indicano che i fondi etici rappresentano ormai in Europa una quota tra il 30 e il 40 % del totale del risparmio gestito. Un dato assolutamente rilevante e significativo che si spiega col fatto che il risparmiatore che vota col portafoglio per un fondo etico non deve aspettarsi un significativo costo aggiuntivo rispetto alla scelta di un fondo d’investimento tradizionale vista la sostanziale non differenza di rendimenti aggiustati per il rischio tra i due tipi di fondi.
La storia futura ci dirà se l’aspirazione naturale dell’uomo a realizzare in tutte le dimensioni della propria vita (tanto più in quella costitutiva del lavoro) le proprie aspirazioni ideali e a soddisfare le proprie motivazioni intrinseche potrà essere sempre più soddisfatta dalla costruzione di istituzioni e di intermediari bancari sempre più in grado di realizzare tali motivazioni profonde. Dipenderà da noi e da come sapremo, da consumatori, risparmiatori, elettori e cittadini premiare lo sforzo di cambiamento e la capacità delle istituzioni finanziarie di coniugare etica e valore economico.