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Le Banche di Credito Cooperativo diffuse in tutto il territorio danno credito ed ascolto ad oltre 7 milioni di clienti favorendo al tempo stesso l’educazione finanziaria e l’inclusione sociale. Il percorso di autoriforma nel quale sono impegnate riguarda il Paese. Occorre cambiare senza tradire. L’Italia ha bisogno di cooperazione sana e moderna, anche e soprattutto nel campo del credito. Una buona riforma salverà anche un pezzo di democrazia.

Parlare di presente e di futuro, per un sistema di banche come quelle di Credito Cooperativo, significa doverne sottolineare la loro essenza e la loro funzione, che da sempre si racchiude nel sostegno, attraverso il credito, a famiglie e piccole imprese.

Banche possedute dalle comunità locali dove si esercita (attraverso il voto capitario) la democrazia economica, le BCC e la Casse Rurali sono banche senza fini di lucro individuale che raccolgono e reinvestono il risparmio in uno stesso territorio; che erogano il credito prevalentemente ai soci (principio di mutualità) e sono impegnate a fare finanza per lo sviluppo e non finanza speculativa.

Esposte in quest’ordine, tali caratteristiche potrebbero sembrare un valore automaticamente apprezzato, riconosciuto e difeso, soprattutto dopo i dissesti della crisi causata dalla spregiudicata speculazione finanziaria. Invece non è così. Si assiste – proprio dallo scoppio nel 2008 della Grande Crisi – ad un paradosso ormai evidente: le banche di comunità, banche dei territori, che non hanno obiettivi speculativi, che hanno (dati alla mano) continuato a sostenere l’economia reale in questi anni terribili, non vengono considerate dalle Autorità regolatorie nella loro specificità normativa, organizzativa e valoriale. E soprattutto nella loro efficacia. Le BCC sono chiamate, pertanto, ad applicare le stesse stringenti norme disegnate per mettere in sicurezza il sistema bancario europeo, norme che però sono pensate e messe a punto avendo a modello le grandi banche con finalità di lucro, talvolta con taglio speculativo, proprio quelle che hanno causato la crisi e che i dati ci dicono non aver dismesso la propensione ad allocare, ancora oggi, parte delle proprie risorse in attività ad alto rischio.

Parlare allora di presente, ma soprattutto di futuro – per le BCC – significa conoscere cosa fanno realmente e quanto ancora possono fare le “banche di comunità”. Chiamate, dall’inizio dell’anno, a disegnare un delicato ed impegnativo percorso di autoriforma, in qualche modo sollecitato dai Regolatori che paventano, in un sistema di 376 banche locali (con 1 milione e 200 mila soci e 4.400 sportelli), possibili criticità legate alla (spesso piccola) dimensione, alla governance scelta democraticamente dai soci (sono oltre 4 mila gli amministratori) o alla eccessiva frammentazione sui territori.

L’Europa, nella quale dal novembre scorso la nuova Unione Bancaria ha preso consistenza con l’avvio della vigilanza accentrata da parte della Banca Centrale Europea, sembra ossessionata dalle regole, senza la necessaria attenzione a quel quasi ovvio principio di proporzionalità che dovrebbe, oltre alle grandi e grandissime banche, considerare le specificità e le esigenze anche dei piccoli (e virtuosi) istituti. Garantendo una sorta di “biodiversità” bancaria che, come in tutti gli ambienti naturali, vede nella ricchezza delle differenze la possibilità di generare benessere garantendo al tempo stesso equilibrio, sostenibilità e – in ultima analisi – efficienza.

Lo scorso 28 febbraio, migliaia di rappresentanti delle BCC italiane sono state ricevute in udienza da Papa Francesco. Un incontro nel quale hanno voluto ribadire la loro matrice ispirata dal Magistero Sociale: fu difatti l’Enciclica Rerum Novarum di Papa Leone XIII a dare il via a quel movimento di pensiero che, grazie a tanti sacerdoti illuminati o intellettuali dell’epoca, consentì alla fine del 1800 la nascita delle prime Casse Rurali. Spesso all’ombra dei campanili. Capaci di affrancare la povera gente da destini segnati o dalla piaga dell’usura. Rendendo, soprattutto, le persone artefici dei propri destini.

Da questo punto di vista, l’esercizio della cooperazione (unire le forze – i risparmi – per raggiungere obiettivi condivisi) si è rivelato per il nostro Paese uno strumento poderoso di crescita. E potrà esserlo ancora di più e meglio in futuro. Papa Bergoglio ha esortato i cooperatori a non dimenticare le proprie origini. Al tempo stesso, però, li ha messi in guardia dal rischio di compiacersi del proprio passato. “Abbiate coraggio e fantasia” ha detto. Per trasformare l’ideale e la pratica cooperativa in qualcosa di nuovo, di originale, di utile per un mondo che cambia troppo in fretta. Una cooperazione, per parafrasare un altro grande Papa, che sappia leggere i “segni dei tempi”.

Le 376 BCC italiane sono tra le banche più patrimonializzate del sistema, operano in 2.700 comuni e in 570 di essi sono l’unica presenza bancaria. Danno credito ed ascolto ad oltre 7 milioni di clienti favorendo al tempo stesso educazione finanziaria (un uso responsabile del denaro) ed inclusione sociale. Il percorso di autoriforma nel quale esse sono impegnate riguarda il Paese. Occorre cambiare senza tradire. L’Italia ha bisogno di cooperazione sana e moderna, anche e soprattutto nel campo del credito. Una buona riforma salverà anche un pezzo di democrazia.

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