Il latino senex (anziano) deriva da una radice indoeuropea, san, che significa: contatto con l’energia vitale, acquisire energia, cedere energia, sentire, realizzare. Da questa radice indoeuropea derivano anche sanare, sentire e sentimento.
Nell’Antico Testamento l’anziano, oramai vicino alla morte, non l’affronta con l’affanno di chi vuole vivere a tutti i costi contrastando la morte, ma accetta questa come il coronamento di una vita giusta, vissuta nel timore di Dio, cioè nella fede confidente nel Signore che dà la vita e la protegge.
L’anziano è l’uomo dell’esperienza pratica, la sapienza di vita, che ha vagliato le varie situazioni che ha vissuto personalmente oppure ha visto vivere da altri e ne ha tratto delle regolarità, spesso condensate nei proverbi popolari. Inoltre l’anziano era l’esperto dei vari mestieri che trasmetteva ai più giovani, in una specie di apprendistato.
Nell’Antico Testamento si parla di anziani del popolo o della città, come di una sorta di consiglio cui ricorre chi sta guidando il popolo. Questa funzione è evidente nella drammatica vicenda (1Re 12) della separazione delle 10 tribù del nord da Giuda, causata dal non ascolto del saggio consiglio degli anziani al giovane re successore di Salomone. Gli anziani propongono di alleggerire le servitù gratuite del popolo che erano servite per costruire sia il tempio che la reggia di Salomone; i giovani consiglieri del re, invece, di aggravarle per mostrare così di essere forte e non debole di fronte alle richieste del popolo. La conseguenza è lo scisma del popolo che avrà gravi ripercussioni per tutta la storia degli ebrei.
Nel Nuovo Testamento è attestata poi la presenza del Sinedrio, composto anche da anziani riconosciuti come autorevoli interpreti della tradizione di fede del popolo ebreo. Di esso fanno parte sia coloro che non hanno riconosciuto Gesù come Messia, ma anche altri, come Giuseppe di Arimatea, che si presenta a Pilato per chiedere il corpo di Gesù per seppellirlo con onore (Lc 23,50-56)
Se oggi la tecnologia sopravanza l’esperienza degli anziani, che possono far fatica a restare al passo dei rapidi mutamenti scientifici, tuttavia gli anziani hanno ancora una sapienza dei rapporti interpersonali che può ancora essere molto utile alle giovani generazioni, in quanto le modalità di relazionarsi non cambiano in modo così veloce come la scienza e la tecnologia, anzi seguono sempre la stessa regola dell’amore del prossimo come se stessi, come ci ha insegnato Gesù.
Nella Bibbia la sapienza dell’anziano non è un dato solo esperienziale, ma è correlato con il timore di Dio, cioè con la fedeltà di una vita alla parola di Dio ascoltata. E’ attraverso questo ascolto di Dio, messo poi in pratica, che nasce la sapienza che permette di dire bene e benedire un anziano sapiente, capace di portare vita, luce e conforto, là dove la vita è minacciata.
Per questo nella liturgia della notte pasquale gli ebrei fanno chiedere dal bambino all’anziano il senso di ciò che si sta celebrando, perché è l’anziano che avendo vissuto la pasqua di liberazione più e più volte nella sua vita ne coglie il senso profondo e lo può tramandare alla generazione successiva come verità di vita, perché l’ha sperimentata vera per sé prima di tutto, e proprio per questo ora è credibile agli occhi dei giovani, anche se questi dovranno a loro volta fare propria l’esperienza dell’anziano. E così via di generazione in generazione.
Gli anziani però possono anche non essere interpreti fedeli della tradizione vitale della fede del popolo e rinchiudersi in uno sterile conservatorismo dei “bei tempi antichi” e diventare così un freno per le nuove generazioni, invece che promotori dello sviluppo storico del proprio popolo e dell’umanità.
Figura dell’anziano che ha fede nel Signore è Abramo che, in tarda età e con la moglie Sara oramai sterile, confida nel Signore che gli promette un figlio da cui nascerà un popolo più numeroso delle stelle del cielo e che sarà benedizione per tutti i popoli. La fede di Abramo verrà ripresa da Paolo come figura della fede di ciascun credente in Cristo Gesù, morto e risorto.
Luca, nel suo vangelo, ci presenta due anziani, Simeone e Anna, che riconoscono nel piccolo Gesù appena nato e portato al tempio per i riti che accompagnavano la nascita, il Messia atteso dal popolo ebreo (Lc 2,29-32):
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».
Con questa preghiera, che si recita a Compieta, si conclude la giornata dell’uomo sapiente che si abbandona al sonno, simbolo della morte, fiducioso che il Signore lo risveglierà tutti i giorni della sua vita, fino al risveglio definitivo della resurrezione dai morti.
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