Il destino dell’Unione europea è legato alle autonomie locali, alla loro capacità di sorreggere, rianimare e rilanciare il processo di integrazione politica, di irrobustire le fondamenta democratiche su cui poggia la costruzione istituzionale dell’Unione, di alimentare la diffusione e l’esercizio della cittadinanza europea.
Ma anche il futuro delle autonomie locali dipende dall’Unione europea, dal contributo delle istituzioni europee al rafforzamento delle garanzie dell’autonomia rispetto all’istituzione statale, dal sostegno alla loro “emancipazione” dalla “tutela” statuale (ed oggi regionale).
La partecipazione del nostro Paese all’Unione europea se da un lato ha favorito il processo di “europeizzazione” dell’ordinamento nazionale, dall’altro ha contribuito a rafforzare la posizione di autonomia – nei confronti dello Stato – delle autonomie territoriali, soprattutto regionali, sempre più considerate dirette interlocutrici delle istituzioni europee.
Tra i fattori che hanno contribuito, infatti, all’affermazione di una visione policentrica dell’ordinamento repubblicano ha certamente concorso il processo di integrazione europea e l’introduzione con il Trattato sull’Unione Europea, firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, del principio di sussidiarietà che ha permesso ai governi locali di assumere un ruolo centrale e di responsabilità nello sviluppo socio-economico del Paese.
Al contempo il ricorrente invito a perseguire una più ampia “unione politica” per far fronte alle emergenze e crisi economico-finanziarie odierne, puntando su un rafforzamento delle istituzioni europee sul piano sia decisionale che rappresentativo, non può certamente trascurare la necessità di valorizzare la soggettività politica delle autonomie locali e il loro apporto partecipativo e rappresentativo alla costruzione della democrazia europea. Una maggiore verticalizzazione del potere decisionale a livello europeo non può far a meno del rafforzamento della dimensione orizzontale (e sociale) espressa dalle comunità locali, se non si vuole alimentare il crescente scollamento tra le istituzioni e i cittadini europei.
In questo quadro le autonomie locali sono chiamate a svolgere un rinnovato ruolo nell’Unione e ad esprimere la loro vocazione relazionale, che si spiega non solo orizzontalmente nella libertà di cooperare ed associarsi con altri enti locali, ma soprattutto verticalmente nella capacità di tessere rapporti con gli altri livelli di governo. Il riconoscimento europeo della soggettività politica delle autonomie locali proietta le stesse oltre lo stato e le propone come strutture sociali fondative di un sistema politico e democratico qual vuol essere ed è quello dell’Unione europea.
Si tratta di un traguardo che non comporta necessariamente un antagonismo tra poteri statali ed autonomie locali né una concorrenza tra gli stessi nelle relazioni dirette con le istituzioni europee, ma che può essere raggiunto attraverso un’“alleanza” tra i diversi livelli di governo ed amministrazione, attraverso una più ampia impronta policentrica dell’assetto dei poteri pubblici all’interno dei singoli ordinamento statali e dell’ordinamento unionista. Un percorso che può contribuire a rafforzare la coesione politica e la prospettiva “federale” dell’Unione europea: il processo federativo dell’Unione non può essere inteso e vissuto come una costruzione rimessa solo alla volontà degli stati, come una mera “cessione di sovranità”, come il freddo risultato di un disegno di ingegneria istituzionale. Esso necessità certamente del coinvolgimento dei cittadini e delle collettività, e dunque delle comunità territoriali.
Non si intende, dunque, alimentare uno sterile antagonismo tra autonomie e stato centrale, quanto piuttosto promuovere il contributo che le autonomie locali possono arrecare alla costruzione di una realtà politica più ampia quale tende ad essere l’Unione europea.
In questa prospettiva si muove il crescente ruolo assunto dalle maggiori “metropoli” europee come attori nello spazio europeo ed internazionale, che ha portato alla costruzione di reti tra le città, ossatura per un rafforzamento democratico della casa europea.
Lo strumento per realizzare questo disegno è rappresentato dalla cittadinanza europea: il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, riproponendo quanto statuito nel trattato di Maastricht del 1992, all’art. 20 par. 2 nel delineare il contenuto della cittadinanza europea oltre a riconoscere ai cittadini dell’Unione il diritto all’elettorato attivo e passivo nelle elezioni del Parlamento europeo si preoccupa di sancire il medesimo diritto nelle elezioni comunali nei paesi membri.
Scelta che al contempo presuppone la natura rappresentativa degli enti locali operanti nei diversi paesi dell’Unione e che si candida a costituire la principale garanzia per il carattere rappresentativo dei medesimi enti. Se da un lato gli enti locali di base o di prossimità non possono non essere a carattere rappresentativo, secondo la visione della Carta europea dell’autonomia locale del Consiglio d’Europa del 1985 (non solo la Carta è stata sottoscritta da tutti gli Stati membri dell’Unione, ma anche dagli Stati che intendono aderire all’Unione), dall’altro le elezioni comunali costituiscono esercizio della cittadinanza europea.
La partecipazione alle elezioni per la composizione dell’organo assembleare europeo, da un lato, e per il governo delle comunità locali nei paesi membri, dall’altro, possono essere assunte come polarità del circuito rappresentativo della democrazia europea. Questa è alimentata verso l’alto dalle elezioni del Parlamento europeo e verso il basso è radicata nelle elezioni comunali secondo l’immagine di un albero la cui chioma è costituita dalle istituzioni europee e le radici, che offrono al contempo ancoraggio e alimentazione, dalle autonomie locali.
Il riconoscimento di soggettività e rappresentatività alle autonomie locali nell’ordinamento dell’Unione Europea si pone, pertanto, quale ulteriore canale di democraticità dell’intera architettura istituzionale europea, che si somma alla rappresentanza “diretta” dei cittadini europei nel Parlamento europeo e alla democraticità “mediata” delle istituzioni europee attraverso i governi nazionali (così come espressamente sancito all’art. 10 TUE).
Non solo. Un ulteriore contributo degli enti locali alla costruzione della democrazia europea può scaturire dal coinvolgimento degli stessi nell’attuazione del principio di prossimità: le molteplici forme di democrazia diretta passano inevitabilmente per gli enti locali. È, infatti, a livello locale che si registrano le più diffuse e significative esperienze di democrazia partecipativa e deliberativa. È a livello locale che il metodo della “democrazia di prossimità”, coniugando partecipazione e comunità territoriali, può trovare una effettiva, efficace e quanto più diffusa realizzazione.
Inoltre, sempre più gli enti locali concorrono all’effettiva concretizzazione dei diritti di cittadinanza dell’Unione. Grazie alla loro vicinanza ai cittadini, le autonomie locali sono nella posizione migliore per promuovere un’adeguata comprensione della cittadinanza europea, evidenziare i vantaggi concreti che essa conferisce ai singoli individui e dimostrare l’impatto tangibile delle politiche dell’Unione sulla vita dei cittadini. Soprattutto le diverse forme di cooperazione territoriale consentono di implementare progetti ed interventi che mirano a rendere effettiva la cittadinanza europea. Le reti di città e i gemellaggi tra comuni, quali strumenti di partecipazione alla vita civica e di integrazione, possono offrire un importante contributo alla promozione e alla sensibilizzazione ai temi della cittadinanza, soprattutto in relazione ai nuovi stati membri o in attesa di adesione.
Il riconoscimento del ruolo “europeo” delle autonomie locali tuttavia deve confrontarsi con alcune problematiche (ancora aperte) di più ampia portata: il coinvolgimento delle autonomie locali nelle procedure per il rispetto del principio di sussidiarietà, la garanzia dell’accesso delle autonomie locali alla Corte di giustizia, la presenza della componente territoriale nell’assemblea legislativa dell’Unione e, più in generale, la natura federale dell’ordinamento dell’Unione Europea.
Il pluralismo istituzionale e il decentramento dei poteri non possono rimanere una mera “questione nazionale” degli stati membri, ma devono tendere ad innervare l’intero ordinamento dell’Unione Europea. Il pericolo altrimenti è di alimentare inediti “centralismi e dirigismi” europei – come è avvenuto con la lettera inviata dal Consiglio direttivo della Banca centrale europea al presidente del consiglio dei ministri italiano il 5 agosto 2011, che ha sottolineato “l’esigenza di un forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi (come le Province)” – e ingiustificati localismi all’interno degli stati nazionali.
Con il loro carico di politicità, di rappresentatività e di partecipazione gli enti locali, in quanto istituzioni democratiche di base, possono contribuire ad attenuare il “deficit democratico” delle istituzioni europee, più volte denunciato da interpreti ed operatori. In effetti, non va per nulla sottovalutato, nel processo di costruzione della “democrazia europea”, il ruolo che in questo processo possono giocare le autonomie locali: un rafforzamento dell’unione politica delle istituzioni europee passa inevitabilmente anche attraverso la valorizzazione delle autonomie locali, sviluppando il più possibile la fisionomia policentrica che dovrebbe avere l’ordinamento dell’Unione europea.
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