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Ci muoviamo in un quadro di appartenenze indebolite, di frammentazione, di derive qualunquistiche che cercano inutile conforto nella personalizzazione. Forse anche per questo il tipo di risposta che possiamo dare è quello di un rinnovato impegno politico, contribuendo alla costruzione della città terrena. E’ urgente rigenerare una proposta condivisa. La novità, che tanti si aspettano, può essere frutto di un libero confronto, non autoreferenziale, ma che faccia incontrare l’insieme dei percorsi che sono oggi in movimento, delle competenze e buone pratiche, delle persone che si interrogano su una visione di democrazia, di uguaglianza, d’Europa e cittadinanza…

Partiamo da una considerazione forse non scontata: in forza del battesimo, ogni cristiano è chiamato (è “obbligato”) ad occuparsi della città dell’uomo nel tempo in cui vive; ma farlo attraverso lo strumento di un partito e la scelta di partecipare attivamente a questo o a quello, risponde al discernimento della situazione storica. È un compito cui il laicato formato è chiamato ad applicarsi responsabilmente. Così è stato nel caso della nascita del Partito Popolare. E così è stato con la costituzione della Democrazia Cristiana nel secondo dopoguerra, come partito tendenzialmente unitario dei cattolici. Scelta per cui, ad esempio, risultò decisiva l’analisi del momento storico e la preoccupazione che la presenza di partiti social-comunisti tra i più forti dell’Occidente, potesse costituire un oggettivo pericolo per la libertà di credenti e non credenti. Di qui il grande impegno del mondo cattolico.

All’origine delle due formazioni politiche di ispirazione cristiana vi era quindi un discernimento di situazioni storiche contingenti e la scelta di porre in essere un partito che fosse uno strumento valido per l’intera comunità nazionale.

Anche se fino agli anni ’70 i pronunciamenti dell’episcopato italiano, a ridosso degli appuntamenti elettorali, sono andati in un’unica direzione, non esisteva e non esiste un “dogma dell’unità” politica dei cattolici. Così come, all’opposto, non esiste un “dogma della divisione” che impedisca il nascere di una formazione di ispirazione cristiana.

La scelta è sempre frutto di una lettura della situazione storica e di una sua intelligenza. Di fronte ad un cambiamento d’epoca, come quello attuale, non bastano pochi aggiustamenti: i credenti hanno la necessità di porsi una domanda di fondo e di rimodulare la presenza nel contesto politico.

Un confronto e un dialogo aperto

Nei mesi scorsi, in occasione del centenario di fondazione del Partito Popolare e in considerazione della difficile situazione italiana, si è aperto un dibattito interessante su quale sia il compito oggi degli uomini “liberi e forti”. Il direttore de “La Civiltà Cattolica” padre Spadaro, per rispondere al quesito, rimanda ai lavori del V Convegno della Chiesa italiana, l’evento “sinodale” tenutosi a Firenze nel 2015. In quell’occasione, papa Francesco ha pronunciato il suo primo intervento sul tema della presenza politica dei cattolici, e sulla cittadinanza che i credenti debbono esercitare a pieno titolo. «La nazione non è un museo – ha affermato Francesco – ma è un’opera collettiva in permanente costruzione in cui sono da mettere in comune proprio le cose che differenziano, incluse le appartenenze politiche o religiose».

In quel discorso il papa non si è limitato a questa considerazione ma ha ricordato come sia inutile cercare soluzioni «nella restaurazione di condotte e forme superate che neppure culturalmente hanno capacità di essere significative». Un’affermazione chiara che ci mette di fronte alle nostre responsabilità civiche, tema di non poco conto e che richiede, nel caso dei credenti, il discernimento comunitario con uno stile sinodale fatto di ascolto e di dialogo. In tal senso il tema di una rinnovata presenza politica incrocia oggi in Italia il più generale tema di un rinnovamento della società e, insieme, di una riforma della Chiesa. Vi è la necessità di un ascolto attento della vita delle persone e di un adeguato discernimento in una situazione in cui si addensano sentimenti di paura, di odio, di rabbia.

Elementi che segnano la situazione presente, e che spiegano in parte l’affievolirsi della partecipazione, alimentando sfiducia e disorientamento. Ma proprio per questo esigono una risposta, sollecitano un impegno generoso da parte dei credenti che hanno a cuore la società in cui vivono e in cui sono chiamati ad annunciare speranza.

Un impegno generoso

Nel cambio d’epoca in cui siamo immersi, per una serie di motivi, il rapporto tra religione e politica assume una nuova centralità anche in ragione del fatto che la religione e nel caso concreto in Italia il cattolicesimo, rappresenta una identità consistente rispetto la società liquida in cui viviamo e può costituire un argine alle derive della democrazia e a forme di dissoluzione della società. Se si pensa all’apporto offerto dal magistero della Chiesa, ad esempio all’enciclica di papa Francesco Laudato sì, è evidente come vi siano elementi capaci di tracciare i contorni di una dimensione sociale, economica e politica.

Sono linee proposte a tutti, che a maggior motivo i credenti possono raccogliere e sviluppare in un impegno politico che non sia autoreferenziale ma capace di offrire uno sguardo sul mondo, in grado di «immaginare una via d’uscita dalla crisi nella quale le società avanzate si trovano oggi. Nella convinzione che la radice cristiana abbia qualcosa da dire sul futuro e non solo sul passato» (M. Magatti). È in fondo la grande sfida raccolta da Sturzo, in una stagione diversa, che, pur tra mille difficoltà, ha saputo aprire una strada alla nascita di partiti di ispirazione cristiana che hanno ricoperto un ruolo importante a livello internazionale. Ci si può chiedere se lo sguardo cristiano sia capace oggi di dire una parola nuova sulla crisi del mondo contemporaneo; e se sia capace «di costruire un consenso – come si chiede Magatti – ben al di là dei propri confini identitari, attorno alle linee tracciate dalla Laudato sì? Di essere voce di quei radicamenti concreti (nel mondo dell’impresa, della ricerca, delle professioni, del sociale e così via) da cui trarre anche quella classe dirigente di cui tutti sentono la mancanza?».

Il cammino per dare risposte efficaci a questi interrogativi non sarà breve e passa per una politica capace di riconnettersi con la cultura, capace di ascolto per costruire risposte, culturali e politiche insieme. Su questa traiettoria i credenti che si impegnano nel campo politico si debbono misurare con un’ulteriore scelta legata alle modalità e agli strumenti di partecipazione.

Il nodo dei partiti politici

Si apre qui un confronto che, nel discernimento della situazione presente, porti a scegliere uno strumento partitico, valutando ad esempio l’efficacia della presenza in una formazione esistente o la possibilità di dare vita ad una nuova formazione. Il confronto avviene peraltro in una fase di debolezza dei partiti, riscontrabile non solo sul piano organizzativo ma anche su quello identitario. L’enfatizzazione della leadership altro non è che un modo per dissimulare il vuoto di idee.

È un dibattito aperto che può servire, al di là degli esiti, a chiarificare i giudizi e le convinzioni, a far maturare prospettive utili per il Paese. Da più parti si sottolinea l’esigenza di partire “dal basso” valorizzando e favorendo le varie forme di civismo che per fortuna non mancano ma, probabilmente non possono bastare; occorre ricostruire contenitori più strutturati e in grado di offrire forme più stabili alla rappresentanza.

È il tema del ripensamento dei partiti congiunto a quello della democrazia interna già voluta dalla Costituzione. Partiti da ripensare o da costruire ex novo. Nell’area cattolica si registrano più tentativi rivolti a promuovere nuove aggregazioni pur non riscuotendo un’adesione larga da parte di associazioni e movimenti. Ci si può chiedere in proposito se non vadano cercati percorsi nuovi che superino l’ipotetica sommatoria delle sigle e si basino invece sui contenuti su cui convergere.

Va anche detto che, nel caso che i tentativi non riscuotano un risultato soddisfacente, come è stato nelle recenti tornate elettorali, vi è il rischio di generare una ulteriore disillusione e un allontanamento dalla politica, il diffondersi di un fatalismo che, o scoraggia la partecipazione, o si apre a tutte le soluzioni senza alcun riguardo per la coerenza tra visione cristiana e scelte politiche: “tanto sono tutti uguali”; mentre così non è.

Un principio di realtà consiglia ai credenti che sono oggi impegnati in un partito di fare fino in fondo la propria parte, affinché il progetto politico sia davvero plurale, rispettoso delle differenti sensibilità, specie in campo etico, e il programma di quel partito individui obiettivi chiari e riconoscibili nel bene comune.

Il contesto non è dei più favorevoli. Si tratta infatti di intervenire in un panorama politico affollato «di chiamate, di convocazioni e di appelli, che si devono misurare con un contesto di ripiegamento identitario» (G. Costa sj).

Che fare?

Ritengo che in questa fase, più ancora che in altri momenti, occorra ascoltare, sperimentare, guardare in via prioritaria ciò che incontra la sensibilità delle persone e delle giovani generazioni in particolare, confrontandosi con le varie proposte che si presentano nel dibattito. È quanto ho cercato di fare in un volume che esce in questi giorni presso l’Editrice Morcelliana (Cattolici e presenza politica. La storia, l’attualità, la spinta morale dell’Appello ai “liberi e forti”).

È doveroso quindi parlare di politica, dialogare, discernere insieme, sapendo che su alcuni temi vi potranno essere legittime differenze di giudizio. Vi è uno stile di dialogo, capace di promuovere fiducia, di favorire amicizia, uno stile che è richiesto in primo luogo ai pastori, chiamati ad unire verità e carità nello «stabilire un colloquio con l’umana società» in cui si vive (CD nn.12-13). Uno stile che deve caratterizzare la comunità cristiana e la presenza stessa dei credenti in politica.

Il dialogo è un fattore dinamico che ci ricorda come il pluralismo non possa consistere, per i credenti, in una giustapposizione di differenti posizioni, bensì rappresenti una continua ricerca, una tensione positiva ed intellettualmente onesta, verso la soluzione migliore nell’interesse del bene comune. «Cerchino sempre – raccomanda il Concilio – di illuminarsi vicendevolmente attraverso un dialogo sincero, mantenendo sempre la mutua carità e avendo cura in primo luogo del bene comune» (GS n.43).

Ci muoviamo in un quadro di appartenenze indebolite, di frammentazione, di derive qualunquistiche che cercano inutile conforto nella personalizzazione. Forse anche per questo il tipo di risposta che possiamo dare è quello di un rinnovato impegno politico, contribuendo, accanto a donne e uomini di buona volontà, alla costruzione della città terrena.

Uno sforzo costruttivo

L’impegno creativo e lo stesso discernimento non possono concentrarsi su modelli astratti, frutto solo di scienza politologica. Dobbiamo partire dalla realtà, da ciò che si è trasformato nella società e dal suo triste riverbero nelle istituzioni di ogni livello, da quelle locali a quelle centrali. Allo stesso tempo è necessaria una presa d’atto di come la secolarizzazione abbia rappresentato e rappresenti, prima ancora che un problema, un’occasione di libertà per il cristiano anche in politica. Se la politica non può che riflettere la scristianizzazione della società, la vocazione cristiana ci chiede tuttavia di essere presenti con uno sguardo di speranza per animare il mondo così com’è.

Anche se questo costa fatica, la politica infatti è «difficile – ci ricorda don Tonino Bello – perché esige il saper vivere nella conflittualità dei partiti, contemperando il rispetto e la lotta, l’accoglimento e il rifiuto, la convergenza e la divaricazione. Difficile, perché richiede, nei credenti in modo particolare, la presa di coscienza della autonomia della politica da ogni ipoteca confessionale, e il riconoscimento della sua laicità e della sua mondanità».

Per questo occorre valutare insieme, ciò che possiamo fare rispetto alle formazioni in campo e al bisogno di uno sguardo lungo nell’agire politico. Per riuscirci è necessario favorire un lavoro di elaborazione, costruire legami e relazioni, così come tanti stanno facendo e come abbiamo fatto, con “Argomenti2000”, con l’iniziativa “Insieme è politica” e nelle tre edizioni della “Costituente delle Idee”, per cercare di convenire non su contenitori o leader ma su contenuti (per queste attività si veda il sito www.argomenti2000.it).

In sostanza è urgente rigenerare una proposta condivisa. La novità, che tanti si aspettano, può essere frutto di un libero confronto, non tra piccoli gruppi, a rischio di autoreferenzialità, ma che faccia incontrare l’insieme dei percorsi che sono oggi in movimento, delle competenze e delle buone pratiche, delle persone che si interrogano su una visione di democrazia, di uguaglianza, d’Europa, di cittadinanza. A questo in tanti stiamo lavorando, con pazienza, raccogliendo anche la spinta morale di tanti che ci hanno preceduto.

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