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Ma gli imprenditori perché dovrebbero o potrebbero fare donazioni alle non profit ed alle imprese sociali?

La risposta tradizionale è perché hanno il senso della filantropia e quindi “danno un massaggio salutare alla propria anima”. Questa risposta è valida, ma parziale. Rientra nell’approccio del “capitalismo compassionevole” spesso citato da Stefano Zamagni e della relazione “una tantum” e accidentale fra for profit e non profit. E questo è apprezzabile in via emergenziale, ma non offre una ragione anche economico-aziendale della donazione. Infatti essa è spesso non continuativa, variabile e non strategica per l’impresa stessa. Ed invece possiamo e dobbiamo pensare che il “cause related marketing”, le sponsorizzazioni, le partnership, il “gift matching”, l’employe volunteering” e i flussi di donazione tradizionali a favore delle non profit e delle imprese sociali non profit possono essere anche un investimento. E come tale hanno anche un ritorno sull’investimento. Non solo d’immagine,ma anche di business e di incremento di valore per l’impresa for profit. Oggi lo sviluppo economico si basa prevalentemente sul capitale umano e sul capitale sociale. E quindi il welfare è un investimento, non un costo. Perché se i cittadini (di qualsiasi etnia o cultura) riescono ad esprimersi nella dimensione di “cittadinanza”, se vivono meglio e producono beni e servizi più efficaci, il sistema si dinamizza in una maggiore concorrenzialità. Un recente studio afferma che i Paesi più competitivi sono quelli che negli ultimi 20 anni hanno investito di più nel welfare. Gli imprenditori hanno di fronte una sfida strategica:come sviluppare e far percepire il loro orientamento sociale inteso non come fatto estetico e d’immagine, ma come fattore critico di successo per la competitività sui mercati. E’ ormai acquisito che il presidio dell’orientamento sociale e dello sviluppo sostenibile, non solo in chiave solidaristica, ma anche come componente manageriale e strutturale dell’azienda stessa, è pervasiva in tutta l’impresa. Il declinarsi in attività sociali crea valore aggiunto ai prodotti/servizi che vengono offerti.
Le imprese (for profit, non profit, cooperative) devono confrontarsi sui principi solidali da adottare, i “codici di condotta e etici”, la trasparenza da comunicare, la qualità della vita da concretizzare, la reputazione sociale da salvaguardare, la tutela dei diritti umani da promuovere e rendere effettivi, le pari opportunità da implementare, la collaborazione sussidiaria con gli enti locali, la tutela ambientale da rispettare, la sicurezza dei dipendenti non solo da salvaguardare, ma da promuovere strutturalmente ecc… Questi elementi sono la responsabilità sociale dell’impresa e su di essi si giocherà anche la concorrenzialità dell’imprenditoria. Le imprese for profit devono agire in una dimensione non assistenzialista, ma di assistenza che rende il territorio più competitivo e concorrenziale rispetto ad altri territori… Tutto ciò incrementa la fiducia come bene di un sistema. La fiducia, secondo N.R. Buchan, in un suo paper (“Trust and reciprocity: An international experiment”, Working paper, University of Wisconsin, 2002) afferma che essa “è alla radice di ogni sistema economico basato sullo scambio reciproco. Se un numero significativo di persone violasse la fiducia sulla quale sono basate le nostre interazioni, il nostro sistema economico sprofonderebbe nell’immobilità”. Per cui, la fiducia è un elemento integrante nelle tradizioni economiche tra società, consumatori e venditori, tra datori di lavoro e impiegati. S. Knack e P. Keefer nel loro studio (“Does social capital have an economic payoff? A crosscountry investigation”, in “Quarterly Journal of Economics”, 1997) di 29 economie di mercato hanno dimostrato empiricamente il collegamento tra la fiducia e la performance economica. Per ogni aumento della fiducia trovano un aumento in crescita annuale del reddito corrispondente. Le non profit e le imprese sociali non profit hanno una funzione di imprenditorialità sociale che si integra con le imprese partner in una filiera sussidiaria senza la quale il “sistema Italia” sarebbe non solo più povero, ma anche meno concorrenziale.
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