Infatti appare evidente che il dibattito sulla quantificazione al ribasso del tetto di copertura (si parla di 100/150 milioni di euro a fronte di una cifra “storica” di contributi volontariamente destinati dai cittadini di 328,9 milioni per la dichiarazione dei redditi 2006) o, addirittura sulla cancellazione del 5×1000, interessa il terzo settore perché sarebbe un vulnus nel sistema socio economico. Inoltre creerebbe difficoltà di gestione per le non profit del volontariato,della ricerca scientifica e sanitaria,della cooperazione internazionale e dell’assistenza vera e propria. In sintesi e paradossalmente alle 250.000 organizzazioni non profit, ai 705.000 dipendenti ed ai 3.3 milioni di volontari si manda un messaggio forte e chiaro: non viene riconosciuto il vostro indispensabile ruolo nella sussidiarietà orizzontale. Ed anche che il finanziamento attiene ad una generica, seppur importante,funzione dello stato ma non come servizio indispensabile per il sistema paese. Cioè per i cittadini. A dispetto della riforma del titolo V della Costituzione e dell’’art 118 che così recita: "… Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati,per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.
Ancora una volta è la valutazione del ruolo delle imprese sociali e del terzo settore come un fatto ornamentale, decorativo e di cornice del sistema mentre tutti sanno che senza di esso il sistema non “starebbe in piedi”. E’ come se un tavolino avesse due gambe(imprese for profit e aziende dello stato nella sua articolazione pervasiva sul territorio)e mancasse la terza gamba rappresentata dal terzo settore,dal mondo delle imprese sociali e del volontariato che danno stabilità all’offerta di servizi sociali (vedi concetto dell’ universalità) e che creano “fiducia e reputazione” e quindi "capitale sociale” dei territori ed è indispensabile per incrementare la loro capacità competitiva. Ma questo approccio al ridimensionamento o addirittura all’annullamento del 5×1000 suscita altre considerazioni:1- una diminuzione drastica della linea di finanziamento privato per le imprese sociali e non profit e tale da incrementare altri strumenti di sollecitazione alle donazioni (si veda direct marketing, cause related marketing,sponsorizzazioni, telemarketing ecc.). Nulla in contrario per una aziendalista come il sottoscritto però poi non ci si lamenti dell’invasività di questi strumenti e non si continui a perpetuare l’atteggiamento di sospetto rispetto a queste funzioni aziendali. Se così non fosse una buona parte delle non profit dovrebbero “chiudere” con tragiche conseguenze per i cittadini; 2- un ovvio incremento della dipendenza dai finanziamenti pubblici che sempre più (e così vuole l’UE) si stabilizzano sulle “gare” che però vengono gestite al “massimo ribasso” e non tramite la formula dell’”offerta economicamente più vantaggiosa”. Ed inoltre tramite convenzioni e sussidi che spesso cadono nella discrezionalità “amicale” e nell’opportunismo del “consenso” elettorale. Fatto da tutti esecrato, ma da molti agito; 3- un vantaggio per le grandi imprese sociali e non profit che hanno la capacità finanziaria di investire in campagne di marketing e comunicazione rispetto alle difficoltà di investimento delle piccole. Si avrà una selezione “malthusiana”. Questa selezione è il contrario di ciò che molti politici hanno affermato come esiziale per il terzo settore; 4- un appesantimento degli oneri finanziari delle non profit che saranno costrette a ricorrere in modo più massiccio agli intermediari finanziari con l’aggravante dell’applicazione di Basilea 2 che ulteriormente creerà problemi di accessibilità non avendo un adeguato “rating”. Ma tutto questo chi danneggia? Tutti i cittadini e sconfessa i circa 15 milioni di italiani che hanno devoluto la quota dell’Irpef.Ma forse era uno scherzo!