In primis, non ho potuto esimermi dal giudicare immotivata la decurtazione di oltre il 40% della dotazione ordinaria spettante all’Agenzia – una decurtazione operata, sia, nella legge finanziaria per il 2007 sia in quella per il 2008. Un ente che è riuscito a raddoppiare la produttività totale dei propri fattori viene “ricompensato” con il taglio del 40% della sua dotazione ordinaria. E’ questo uno di quei casi che il grande illuminista napoletano, Giacinto Dragonetti, aveva ben descritto nel 1766 nel suo celebre “Delle virtù e dei premi”. Dopo aver osservato che “gli uomini hanno fatto milioni di leggi per punire i delitti, e non ne hanno stabilita pur una per premiare le virtù”.
Ma occorre guardare anche alle sfide future che attendono il Terzo Settore. Dopo i brillanti – e in gran parte inattesi – successi registrati da questo mondo vitale nell’ultimo quarto di secolo, sono dell’avviso che sia giunto il momento di affrontare la questione principale e cioè la direzione verso cui esso sta marciando. Senza dubbio la sfida più impegnativa per il Terzo Settore è quella di saper resistere al canto di due opposte sirene: per un verso, quella che tende ad attrarlo nella sfera di influenza del settore pubblico per trasformarlo in un soggetto del parastato; per l’altro quella che tende a spingerlo su posizioni di autoreferenzialità e chiusura nei confronti delle altre sfere della società.
In entrambi i casi, il Terzo Settore verrebbe meno alla sua mission centrale, che è quella di adoperarsi per restituire il principio di reciprocità sia alla sfera pubblica sia a quella privata dell’economia. Contratti e leggi, infatti, pur necessari, non bastano a garantire un avanzato e civile ordine sociale che, se è certamente messo a repentaglio dalla espansione di forme di privatismo sociale, lo è ancor più dai tentativi, sempre ricorrenti, di rinverdire la celebre legge di Le Chapelier (1791) per la quale “tra lo Stato e il cittadino non v’è nulla, né deve esservi nulla”. Per tale visione del mondo, più diffusa di quanto non si creda, le organizzazioni della Società Civile operano certamente per il bene comune, ma non devono aspirare ad una loro propria autonomia e, soprattutto, alla loro indipendenza. La piena capacità politica, infatti, è solo dello Stato, il quale può concedere al Terzo Settore di agire sul pubblico, ma la responsabilità di ciò che è proprio della sfera pubblica è interamente nelle mani dello Stato.
In vista di ciò, il contributo più qualificante che il Terzo Settore può dare alla società di oggi è quello di affrettare i tempi del passaggio da una concezione della reciprocità come atto privato, alla reciprocità come atto pubblico. La cultura della reciprocità, affermando il primato della relazione sul suo esonero, del legame intersoggettivo sul bene o servizio erogato, dell’identità personale sull’aiuto anonimo, deve poter trovare spazio di espressione ovunque, quale che sia l’ambito dell’agire umano.
Ammettere questo significa riconoscere che i soggetti del Terzo Settore non si limitano ad agire nel quadro della libertà di associazione a fini privati, ma operano nell’arena pubblica, in una pluralità di ambiti. Invero, approcci come quello del reinventing government o del new public management derivano tutti dalla presa d’atto che i corpi rappresentativi devono aprirsi ai soggetti della società civile non solo per migliorare la loro legittimazione, ma anche per acquisire risorse e per mobilitare nuove energie. Chiaramente, nessuno nasconde le difficoltà che potrebbero sorgervi: la più seria è che il Terzo Settore, cooperando a colmare il vuoto di rappresentanza tra la cittadinanza e i poteri pubblici, generi nuovi dilemmi politici. Da un lato, gli attori istituzionali ripongono fiducia nelle organizzazioni della società civile, in quanto capaci di avvicinare la società allo Stato. Dall’altro, però, gli stessi attori esprimono paura e sospetto verso le medesime organizzazioni perché queste pretendono di rappresentare gruppi di persone la cui cura sarebbe di competenza pubblica.
Proprio all’interno di questo nesso di problemi che l’Agenzia può dare un contributo di primaria importanza, svolgendo alcune funzioni che possano aiutare il Terzo Settore a realizzare appieno il suo potenziale:
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- La gestione efficiente dei dispositivi attuati dalle istituzioni centrali. Si pensi, per fare un esempio, ai fondi del 5 per mille. Si tratta di uno strumento importante per dare ali al principio di sussidiarietà . Ma una sussidiarietà che non si dimostri efficiente rischia di implodere;
- La messa a punto di sistemi di certificazione delle attività svolte dalle organizzazioni allo scopo di tutelare la fede pubblica nell’occasione sia delle campagne di raccolta fondi sia dell’accesso ai mass-media;
- L’approntamento di strumenti adeguati per facilitare l’operatività dei soggetti del terzo settore. Si pensi alle linee guida per la redazione del bilancio d’esercizio e del bilancio di missione;
- L’armonizzazione dei criteri di tenuta degli albi e dei registri dei soggetti del terzo settore. L’esistenza nel nostro paese di circa 300 registri, tra loro non armonizzati, è un’aporia che attende di essere urgentemente calmata;
- Il ruolo di presidio presso le istituzioni europee. È un fatto che i fondi a favore delle organizzazioni della società civile, che Bruxelles eroga in abbondanza, giungono solo in minima parte nel nostro paese.
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Ma a tali compiti aggiuntivi l’Agenzia può attendere – e sarebbe ben lieta di farlo – solamente in presenza di un adeguamento normativo circa i suoi poteri di intervento e di azione. L’Agenzia non rientra tra gli organismi previsti dal D.Lgs. 300/1999, perché non si configura come organismo dello Stato-amministazione, e non è soggetta al potere di direttiva ministeriale collocandosi in posizione basicamente neutrale rispetto all’Esecutivo. Infine i Consiglieri e il Presidente dell’agenzia, sebbene nominati dal Presidente del Consiglio dei Ministri, non rispondono fiduciariamente all’esecutivo. Per questi motivi è urgente sanare l’incongruenza che colloca l’Agenzia in una sorta di limbo privandola della sua specifica identità.
A quattro lacune particolari occorre porre con urgenza rimedio:
i. Le funzioni di vigilanza non sono assistite da sanzione diretta in caso di inottemperanza alle richieste di tipo informativo. In parecchi casi la moral suasion non è sufficiente per conseguire i risultati che tutti si attendono;
ii. L’Agenzia è priva di poteri censitori sul mondo del non-profit, ciò che determina situazioni a dir poco imbarazzanti: l’Agenzia che dovrebbe fornire informazioni è essa stessa obbligata a chiederle ad altri enti;
iii. L’Agenzia non ha poteri di tipo decisorio, peraltro utilissimi per risolvere tutte quelle controversie che immancabilmente vengono a crearsi in occasione delle distribuzioni di contributi pubblici;
iv. L’Agenzia, dopo oltre sette anni dalla sua nascita, non possiede ancora un suo proprio organico. (Il personale proviene infatti da altre amministrazioni pubbliche, soprattutto locali). L’assenza di una pianta organica stabile rende precario il lavoro di programmazione e si ripercuote negativamente sulle legittime aspettative delle persone.
La prospettiva alla quale guarda con motivato interesse l’Agenzia e in funzione della quale essa si adopera è quella di affrettare i tempi del passaggio in Italia ad una società a tre settori: privato, pubblico, civile. Pensare al Terzo Settore come forza di traino per condurre il paese verso la costituzionalizzazione del civile apre alla speranza che esso possa giungere, in tempi non troppo lontani, a vedersi riconosciuto il medesimo status di autonomia e di indipendenza degli altri due settori. Nel suo recente saggio, Collasso (Torino, 2008), lo storico L. Diamond ha mostrato con dovizia di particolari che quando una civiltà sradica dalla propria terra l’albero della reciprocità, il declino, prima o poi, è assicurato. L’Agenzia per le ONLUS si impegna ad adoperarsi perché questo sradicamento si materializzarsi nel nostro paese.