Di fronte a questi fatti le reazioni sono più o meno sempre le stesse: si va dalla ricerca delle cause sociali: a Ballarò convivono 18 etnie diverse spesso in conflitto tra di loro, il quartiere è fortemente degradato, i bambini vengono lasciati soli etc.; fino all’inevitabile invocazione di modelli educativi positivi e di pratiche efficaci di socializzazione.
Tutto giusto, ovviamente, ma anche del tutto inadeguato.
La violenza nelle scuole, in tutte le sue manifestazioni, cresce di anno in anno ovunque e in ogni contesto sociale, anche in ambienti socialmente favoriti, come rileva da tempo l’Osservatorio europeo della violenza a scuola (OEVS). In Italia poi, negli ultimi anni, abbiamo visto esplodere episodi del genere a Como come a Reggio Calabria, ad Ancona come a Torino.
Se poi avete qualche curiosità fatevi un giro nel sito Scuolazoo.com, in particolare nelle sezioni Scherzi al prof e Prof pazzi, e vedrete dove può arrivare il clima di squallore e di avvilimento in alcune classi italiane.
Va subito detto che la colpa di questo degrado non è (solo) dei professori.
Non è colpa di quella professoressa che guarda attonita uno studente andare in bagno e poi tornare con l’accappatoio per chiedere un po’ di shampoo. Forse non è neppure colpa di quel giovane professore di italiano che interloquisce seriamente con uno studente che gli dice le cose più incredibili su Leopardi, i fantomatici 40 giorni di Caserta, il “solstitium novis”, e la polenta concia, prendendolo vistosamente in giro.
Non è colpa dei professori annoiati, che si addormentano in classe, o gridano come pazzi.
E non è neppure colpa della famiglia, che a sua volta annaspa tra estinzione fisica, sovraccarichi insostenibili di responsabilità, e sfasci affettivi sempre più rapidi e devastanti.
E allora se vogliamo analizzare seriamente l’aspetto scolastico del più generale degrado della nostra vita civile dovremmo spostarci dal livello psicologico o sociale dell’analisi a quello culturale.
E’ un’intera cultura infatti che non funziona più e che quindi non è più in grado di insegnare nulla di organico e di vitale. Rimpinziamo queste giovani teste, già in buona parte dissociate e corrotte da modelli orribili e degradanti, di caterve di nozioni, in una sorta di bulimia del sapere tecnico senz’anima.
Queste ragazze e questi ragazzi andrebbero invece educati, educati a pensare, ma specialmente a sentire e a esprimere le proprie emozioni, quasi sempre compresse e mute, e perciò sempre più primitive e rozze e alla fine violente. Ma per educare ci vuole una cultura di riferimento: orizzonti di senso, valori precisi e vitalmente testimoniati, direzioni chiare sulle quali orientare la propria esistenza.
E tutto questo non c’è. Sappiamo offrire solo tecnica, mercato del lavoro, e informazioni storiche all’ingrosso con un sottofondo depressivo fortissimo, mascherato da ottimismo mercantile: il PIL crescerà, vedrai! Ci sarà presto la ripresa economica mondiale… magari nel 2010! O dopo il solstizio d’inverno del 2012, alla fine del calendario azteco…e di questo mondo.
Lo spettacolo dominante della nostra civiltà terminale è penoso, come le classi scolastiche in cui i soliti ragazzacci filmano il compagno malmenato o il professore deriso e umiliato, inconsapevoli di degradare così se stessi, e il senso di ciò che fanno.
Dobbiamo tornare a parlare di una nuova cultura, di un nuovo progetto di umanità, e quindi di una nuova nobiltà. Abbiamo giustamente criticato le forme classiste di nobiltà, e tutte le figurazioni retoriche dell’onore, del rigore, della bellezza, e del coraggio.
Ma abbiamo finito per legittimare come trasgressiva e intelligente ogni forma di volgarità, di stupidità, di ignobiltà, e di ignoranza,.
Basta guardare con occhio critico al mondo dell’arte visiva o degli shows per giovani.
Tremonti nel suo ultimo libro parla del bisogno di un nuovo radicamento spirituale e culturale, indispensabile anche per affrontare una globalizzazione che rischia di schiacciare l’Italia nell’irrilevanza.
Ebbene si cominci. Si aprano cantieri di pensiero. Senza fretta però. Con la pazienza e l’umiltà di chi torni a costruire per i secoli a venire, e non soltanto per la prima notizia del telegiornale della sera. Ci si apra ad una ri-educazione generale, a partire dai professori e dagli adulti in genere. Si inventino programmi divulgativi in questa direzione: forti, affascinanti, capaci di parlare il linguaggio nuovo dell’entusiasmo costruttivo, e di aiutare anche gli insegnanti in uno sforzo comune di riabilitazione alla vera umanità.
Senza una classe politica lungimirante e veramente ambiziosa, senza una classe dirigente che abbia una visione del mondo e la desideri trasmettere, senza uno slancio creativo che coinvolga la scuola, i giornali, insieme alla più grande struttura culturale italiana, e cioè alla RAI, finalmente rivissuta come Servizio Pubblico, sarà molto difficile invertire la rotta dello squallore e della demenza, magari ipertecnologica e filmata ovviamente di ora in ora col telefonino.