Uno dei temi più ripetuti è il richiamo alla natura ‘pubblica’ dei servizi e delle istituzioni di tutela della cittadinanza, ma spesso il ricorso alla qualificazione di ‘pubblico’ non è consapevole; troppe volte tende a dissimulare aspettative professionali e occupazionali, schemi di governo, opzioni ideologiche, modelli di rapporto con l’utenza, regimi finanziari sui quali ci si adagia per abitudine, per paura del cambiamento o, forse, per altre ragioni che non è neppure opportuno richiamare.
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È necessario riproporre una riflessione profonda sul valore etico, ancor prima che normativo, della coppia pubblico/privato, rileggendo la Rerum novarum, magari in parallelo con la Quadragesimo anno, e confrontare la complessità del principio di sussidiarietà definito da quelle Encicliche con la legislazione e l’evoluzione istituzionale di quei quarant’anni.
Con ogni probabilità, verrebbe più facile cogliere la portata specifica di concetti come quelli di pubblico e di privato e, soprattutto la loro complementarietà nei confronti delle concezioni del sociale.
Il terreno dell’istruzione e dell’educazione dei giovani è certamente uno di quelli in cui l’affermazione di una concezione pubblicistica della funzione si è spinta più in avanti. Con la grande giustificazione della lotta all’analfabetismo e della diffusione delle conoscenze moderne, da Crispi a Gentile, fino alle riforme scolastiche degli anni settanta del novecento, il processo di statalizzazione della formazione dei minori si sviluppa senza soluzione di continuità, secondo un modello centralistico. L’idea che per “costruire i cittadini” siano necessari strumenti autoritativi corrisponde alle concezioni di base di tutti i sistemi che pretendono di imporre modelli, culture, stili di vita.
Non sempre i sostenitori acritici del carattere pubblico dei processi formativi sono consapevoli della differenza che deve esistere tra la garanzia che tutti (il pubblico) possano accedere ad un’utilità necessaria e la garanzia che lo Stato (come potere pubblico) non interferisca nei processi di libera formazione delle coscienze e di libera trasmissione dei valori nel circuito sociale.
La società (in quanto pubblico) ha il diritto di esprimersi con istituzioni proprie, che rappresentano la manifestazione del potere di darsi regole da sé (autonomia), possibilmente nell’ambito di un processo che concorre alla costituzione dello Stato.
La scuola è uno dei terreni, forse il più importante, nel quale la ricerca della dimensione pubblica della funzione vede coincidere la sperimentazione istituzionale con il processo pedagogico sociale. Non è un caso, infatti, se i regimi totalitari la immaginano sempre come il punto nevralgico dei percorsi di centralizzazione dei poteri.
Allo stesso modo, è necessario che qualunque democrazia immagini e proponga sistemi di istruzione ed educativi come modelli integrati di partecipazione dei soggetti titolari delle varie responsabilità per la formazione delle giovani generazioni.
Sarebbe opportuno, quindi, che, sperando nella ripresa del dibattito e dell’approfondimento dei temi seri in sede parlamentare, si cominciasse a riflettere sullo stesso valore semantico di termini abusati come pubblico e privato; si bandisse il loro uso enfatico e ingiustificato; si cercasse di studiare strumenti e percorsi per consentire l’instaurazione di un patto sociale di responsabilità educativa (del quale il cd. patto di corresponsabilità recentemente introdotto nelle scuole e solo una timida anticipazione).