In Italia riformare la scuola è come vincere al lotto. Certe volte chi ha vinto si accorge di aver perso il biglietto … e si ricomincia da zero. Altre volte i tempi per realizzare le riforme appaiono infiniti. Basti un dato tra tutti. I parlamentari italiani dal dopoguerra ad oggi hanno predisposto ben 35 proposte di riforma della scuola. Tutte naufragate nei conflitti parlamentari. La prima approvata da entrambi i rami del Parlamento prima che il governo cadesse, la legge Berlinguer-De Mauro n.30 del 2000, non è mai entrata in vigore. La stessa sorte è toccata alla seconda legge solennemente approvata dal Parlamento (la legge 53 del 2003). Con il famoso cacciavite il Ministro Fioroni ha “svitato” la riforma Moratti. E se alle prossime elezioni vincerà una coalizione diversa dall’attuale ricominceremo da capo. Probabilmente c’è un vizio di fondo: si tende a considerare la scuola alla stregua di altri settori in cui la politica semina e raccoglie nell’arco di una legislatura. La scuola invece è un investimento a redditività differita. Occuparsene avendo come orizzonte i programmi politici di una legislatura è miope. La scuola assomiglia all’industria aeronautica. Passano infatti da dieci a quindici anni dal momento in cui un nuovo aereo viene concepito al momento in cui viene messo sul mercato. Occorre prevedere, con un orizzonte di 15-20 anni, quello che succederà nel trasporto aereo. Perciò si studiano andamenti demografici, flussi migratori, sistema dei trasporti dei paesi concorrenti, prospettive di sviluppo delle diverse aree. Non è la stessa cosa per la scuola? Fra il momento in cui il percorso dello studente comincia e quello in cui finisce passano 15-20 anni. La politica è in grado di fare questo sforzo di previsione quando si occupa di riforma della scuola? E’ possibile finalmente avere anche in Italia una riforma bypartisan? Negli Usa, in Gran Bretagna, in Danimarca, in Germania, in Francia l’alternanza al governo di destra e sinistra non porta a demolire le riforme dei governi precedenti. Da noi invece si litiga su ogni riforma come se essa dovesse produrre i suoi i risultati domani e si fa costantemente campagna elettorale con la scuola. E’ troppo chiedere ai politici di non essere miopi (fermandosi alle polemiche contingenti) quando si occupano di scuola? Ma non basta chiederlo ai politici. Occorre chiederlo ai giornalisti. Ho esaminato le più importanti testate internazionali, dal Times a Le Monde, da Economist a El Pais. Ho cercato cosa fa notizia quando si parla di scuola. Su questi grandi testate (di paesi dove la scuola non è quasi mai oggetto di campagna elettorale e di divisioni ideologiche) fa notizia il futuro della ricerca, i talenti, le competenze richieste dalle imprese, i deficit registrati dalle indagini PISA nelle competenze linguistiche, l’innovazione nella didattica. Recentemente l’Economist dedicava quindici pagine ad un rapporto dal titolo: “The search for talent”. E Le Monde: " Enseigner: cent fois sur le metièr”. E El Pais: “Las ciencias que hay que saber”. Da noi invece la scuola conquista la prima pagina solo col bullismo, la pedofilia, gli scioperi, le occupazioni, lo scandalo dei concorsi. E allora non si può dare la colpa solo ai politici. E’ ancora lunga la strada, nel paese dei guelfi e dei ghibellini, per far uscire la scuola dalle contese di parte e consegnarla alla sfera del bene comune.
Bene comune e scuola
Se guardiamo al rapporto tra scuola e bene comune un senso di sconforto non può non prendere chi ha a cuore il bene della scuola. Nonostante l’impegno generoso e intelligente del Ministro Fioroni nel cercare di ridare serietà alla nostra scuola.
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