Da un lato, vi sono coloro che evidenziano le nuove opportunità derivanti dallo sviluppo degli OGM, in particolare la resistenza ai diserbanti, agli insetti, ai funghi parassiti e ai virus, nonché lo sviluppo della qualità dei frutti, e di conseguenza la possibile funzione degli OGM di risorsa contro la fame nel mondo (evidenziata anche dalla Pontificia Accademia delle Scienze).
Dall’altro, vi è chi rileva i rischi ai quali darebbe luogo la diffusione di tali prodotti per l’economia agricola, la salute dell’uomo (allergie, e secondo qualcuno perfino tumori, sebbene questa ipotesi sia avversata da esperti come il prof. Veronesi) e la biodiversità (ossia la varietà delle forme di vita presenti sul pianeta).
La direttiva 2001/18/CE costituisce il testo normativo fondamentale, a livello comunitario, in tema sia di "emissione deliberata" di OGM nell’ambiente, sia di loro "immissione in commercio". Le complesse fasi di autorizzazione previste dalla direttiva comportano una penetrante valutazione, caso per caso, degli eventuali rischi per l’ambiente e la salute umana connessi all’emissione di ciascun OGM ai fini dell’uso agricolo o alla sua immissione in commercio.
In Italia, la direttiva è stata recepita attraverso il d.lgs. n. 224/2003, volto alla tutela dell’ambiente, della salute e della ricerca scientifica.
Il d.l. n. 279/2004, attuativo della raccomandazione 2003/556/CE, muove dal presupposto – ormai non più controverso nel diritto comunitario – della facoltà d’impiego di OGM in agricoltura, purché autorizzati: v. Corte Costituzionale, sentenza n. 116/2006.
La formulazione del principio di coesistenza tra colture convenzionali, biologiche e transgeniche, rappresenta la sintesi fra i divergenti interessi di rilievo costituzionale costituiti, da un lato, dalla libertà di iniziativa economica dell’imprenditore agricolo, dall’altro, dall’esigenza che tale libertà non sia esercitata in contrasto con l’utilità sociale, in particolare recando danni sproporzionati all’ambiente e alla salute.
Di recente, in materia, ha destato grande interesse la decisione del Consiglio di Stato sul caso di un’azienda agricola friulana che aveva chiesto al Ministero delle politiche agricole l’autorizzazione alla coltivazione di varietà di mais geneticamente modificate iscritte nel catalogo comune europeo. Il Ministero aveva risposto di non poter procedere all’istruttoria, nelle more dell’adozione da parte delle regioni dei “piani” volti a garantire la coesistenza tra colture convenzionali, biologiche e transgeniche.
L’azienda agricola, quindi, ha proposto ricorso prima al Tar del Lazio e poi al Consiglio di Stato.
Il Consiglio di Stato, con decisione n. 183/2010 del 19 gennaio scorso, considerato il quadro normativo vigente in materia, ha rilevato che dalle stesse deduzioni depositate dal Ministero è emerso come: a) non sia contestato che le varietà di mais geneticamente modificate per le quali è stata richiesta l’autorizzazione alla messa a coltura siano già iscritte nel catalogo comune europeo, per cui b) non vi siano ostacoli di carattere sanitario o ambientale che, ai sensi dell’art. 23 della direttiva 2001/18/CE, giustifichino un intervento precauzionale dello Stato in termini di divieto o limitazione della coltivazione.
Pertanto, il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso e dichiarato l’obbligo del Ministero di provvedere sull’istanza di autorizzazione entro 90 giorni, richiamando il potere dell’Amministrazione statale di avviare i procedimenti sostitutivi che l’ordinamento appresta per il caso d’inerzia delle Regioni nel dare attuazione a obblighi comunitari.
Il 19 marzo, poi, il Ministro delle politiche agricole ha firmato un decreto volto a negare l’autorizzazione alla coltivazione del mais transgenico. Il decreto è stato quindi inoltrato per la sottoscrizione ai Ministri della salute e dell’ambiente.
Appare evidente che questo non sarà l’ultimo capitolo dell’ennesimo scontro ideologico-economico in atto nel nostro Paese.
In materia, dunque, data la rilevanza sia delle opportunità di sviluppo che degli eventuali rischi sopra accennati, è necessario un intervento autorevole – essenzialmente scientifico-politico, dato che come detto il diritto comunitario ha ormai affermato la facoltà d’impiego degli OGM autorizzati – che chiarisca una volta per tutte all’opinione pubblica condizioni e limiti dell’uso degli OGM. L’occasione adatta potrebbe essere la proposta che la Commissione europea ha di recente annunciato di voler presentare entro l’estate, per combinare un regime di autorizzazione europeo con la libertà di scelta degli Stati membri.
* versione ampliata di un articolo comparso su Il Sole 24 Ore il 4 aprile 2010.
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