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Di ritorno dalle vacanze, il computer in ufficio mi vomita in faccia il solito stupidario di ‘geni che ci rendono diversi dalle scimmie’, ‘cosce larghe che proteggono dall’infarto’ ed altre amenità che fanno da contrappunto alla perversa follia della ‘caccia ai casi mortali di nuova influenza’ dove si cerca di far passare come prima vittima italiana della nuova influenza un poveretto già gravemente cardiopatico, con un solo rene e per giunta oligofrenico che poi , guarda caso, ha anche preso l’influenza.

Insomma è come sostenere che un tizio colpito al cuore da una pallottola è stato in realtà ucciso dalla botta che ha dato cadendo contro il pavimento. Il fatto che questa influenza sia poi più lieve delle solite e si presenti come complicanza in molti meno casi rispetto alle solite influenze stagionali, invece di raffreddare i bassi istinti dei media li eccita fino alla pornografia con casi descritti nel più minimo dettaglio.

Non si tratta di una specialità italiana, quest’anno sono andato in vacanza negli Stati Uniti e lì è la stessa cosa. Da dove deriva questa irritante follia? In un altro intervento su ‘benecomune’ ne avevo offerto una spiegazione sociologico/filosofica nella fine della presa sulla realtà della cultura dominante, una spiegazione più economicista (più condivisa e meno apocalittica) ne rintraccia l’origine nella necessità vitali di una industria farmaceutica in grave crisi. In questi giorni però un evento a cui ho assistito di persona mi ha fatto balenare una ulteriore spiegazione che ha il pregio di comprendere come casi particolari le altre due, e che per questo credo sia di qualche interesse raccontarvi. Si tratta di cronaca scientifica ‘dal vero’, i fatti si riferiscono a persone a me molto vicine ed in cui anche il vostro corrispondente scientifico ha avuto una (se pur marginale) parte, per cui, nelle migliori tradizioni della cronaca nera, userò delle iniziali di fantasia per coprire i protagonisti e renderli irriconoscibili.

Appena messo piede in laboratorio dopo un mese di ferie, trovo R un pochino ‘abbacchiato’ ‘Cosa è successo ?’ gli chiedo, e lui ‘Ma guarda un po’ cosa mi scrive A, io mai avrei pensato che avessimo sollevato un tale vespaio, ed ora che facciamo?’.

A Giugno R mi aveva fatto vedere una sua analisi sui dati di una grande sperimentazione avvenuta in vari laboratori degli Stati Uniti e coordinata da A con cui collaboriamo abitualmente. R mi chiedeva consiglio su come fare a trarre delle conclusioni su un grande insieme di correlazioni tra misure prese ‘in vivo’ (animale intero) e misure prese ‘in vitro’ (colture cellulari) relative all’effetto di centinaia di sostanze chimiche. 

Il piano di R mi sembrava ottimo e completamente in linea con il normale buon senso statistico: vista la grande probabilità (dovuta al grande numero di possibili combinazioni) di ottenere delle correlazioni fra una qualsiasi misura ‘in vitro’ ed una qualsiasi misura ‘in vitro’ si sarebbe dovuto procedere raccogliendo le misure ‘in vitro’ in insiemi di macrovariabili correlate fra di loro, fare lo stesso con le misure ‘in vivo’ e lavorare sulle (poche) macrovariabili risultanti così da minimizzare l’effetto delle correlazioni spurie. Contemporaneamente si sarebbe simulato il caso in esame attraverso l’estrazione casuale di valori con le stesse proprietà statistiche dell’insieme sperimentale ma chiaramente senza nessuna reale correlazione fra i due gruppi di variabili: l’ottenimento di uno spettro di correlazioni indistinguibile da quello del caso reale avrebbe fatto propendere per una mancanza di effetti rilevanti.

Questa mancanza di effetti rilevanti, unita alla completa assenza di correlazioni significative sulle macrovariabili faceva concludere ad R che l’esperimento non avesse dato nessun risultato di rilievo. Niente di strano a ben vedere, ottenere dei risultati negativi fa parte del gioco scientifico ed anche i risultati negativi contribuiscono all’avanzamento della conoscenza in quanto ci spingono a cercare altrove.

Dopo aver consigliato ad R di procedere pure per questa strada e avergli fornito qualche piccola dritta aggiuntiva salutavo R che sarebbe andato ad un congresso ad Agosto a presentare queste risultanze, mentre io, più banalmente, partivo per le vacanze. Peccato che A, grande amico di R, e promotore del mega-esperimento fosse anche lui al congresso e, ai risultati dell’analisi di R, saltasse su tutte le furie prendendola come un’offesa personale. In una mail di fuoco riportava allora speciosissime giustificazioni pseudoscientifiche del genere ‘..non si può fare di tutt’erba un fascio, se invece di prendere tutte le molecole insieme le dividessimo in classi chimiche…’ corrispondenti più o meno a dire di aver colpito il bersaglio sparando a casaccio su un asse di legno e dopo disegnando dei circoli attorno ai buchi. Di seguito A specificava che il comportamento di R era ‘provocazione per il gusto della provocazione’ e ‘altamente irresponsabile’ in quanto, in periodi di crisi come questo, metteva in pericolo il posto di lavoro di centinaia di giovani precari, in quanto i finanziatori del progetto si sarebbero ‘spaventati’ dalle analisi di R ed avrebbero ritirato il loro supporto ad un progetto che appariva fallimentare.

Ecco allora chiarita la mistura infernale in cui buona e malafede si mescolano indissolubilmente e considerazioni economiche si sovrappongono in maniera perversa a giudizi conoscitivi. A è un bravissimo chimico ma non ha pratica di metodologia statistica (lato culturale , guai della specializzazione, litigio con la realtà) e a nessuno del gruppo dei proponenti il progetto è mai saltato in mente di esplicitare ‘prima della partenza’ l’obiettivo dello studio in termini statistici, convinti che ‘qualcosa sarebbe venuto fuori in ogni caso ‘ semplicemente in grazia delle ’ ingenti risorse impiegate’ (fallacia della confusione tra tecnica e scienza, mentre l’uso di grandi risorse può essere efficace in tecnologia dove le basi conoscitive sono note, nella scienza questo non assicura nulla), peggio ancora ogni critica ai risultati viene vista come ‘minaccia ai posti di lavoro’ e per questo da combattere ideologicamente.

La scienza non è più qualcosa a cui l’impresa (o i governi, comunque i finanziatori) dedicano delle risorse perché ‘prima o poi’ qualcosa di utile uscirà fuori, o anche (come dovrebbe) perché parte integrante della cultura e dell’educazione di un popolo, ma è essa stessa un’attività economica in quanto tale che non ammette risultati negativi in quanto si configurano come delle perdite nette e perciò non solo inutili ma dannosi.

Bel guaio, questo significa che qualsiasi baggianata detta da un gruppo di ricerca potente in quanto a finanziamenti DEVE essere vera, se no si mandano a casa ricercatori e giù pianti sulla fuga dei cervelli, l’imbarbarimento ecc. ecc.

Un scienza che non sopporta critiche è una scienza che ha perso ogni ragion d’essere e che può solo servire (ma per quanto ancora ?) come scudo ideologico e pubblicitario di qualsiasi operazione di potere o di profitto, ed allora vendere un vaccino inutile e considerare pericolosa una influenza sulla semplice somiglianza della sua sequenza a quella del virus della tristemente nota epidemia ‘spagnola’ del 1918 senza porsi alcun dubbio su tutto l’insieme delle condizioni al contorno (dallo stato di nutrizione delle popolazioni stremate dalla guerra fino alla mancanza di qualsiasi dato statistico attendibile tra distanza genica e aggressività di un virus) non sono più due spiegazioni disgiunte ma parte di un unico perverso meccanismo.

Da parte mia spero che A faccia pace con R, infatti se R è un grande amico, anche A mi sta umanamente simpatico e se litigano mi dispiace.

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