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1. ‘Ma mi faccia il piacere … se non lo so io che sono un professore , allora chi lo dovrebbe sapere ?
Questo era più o meno il tono delle circa 10000 lettere (tra cui quelle di molti matematici accademici) che, nel 1990, arrivarono alla bella e intelligente Marilyn Vos Savant , titolare della rubrica ‘Ask Marylin’ del Parade magazine, una rivista molto diffusa negli Stati Uniti. Il tema di tante inviperite lettere di protesta era la risposta (che come vedremo era giusta , ma che tanti professori non ebbero l’umiltà di controllare) che Marilyn aveva dato ad un lettore della sua rubrica che le aveva chiesto: ‘ Supponi di essere in un gioco televisivo (il lettore si riferiva ad un gioco portato avanti effettivamente per vari anni nella serie televisiva Let’s Make a Deal’) , e di dover scegliere tra tre porte. Dietro una porta c’è un auto, dietro le altre due una capra, tu potrai portare a casa quello che c’è dietro la porta scelta. Tu bussi alla porta numero 1 (ma non la apri), e il conduttore, che sa cosa c’è dietro ogni porta, apre un’altra porta, diciamo la numero 3, dietro la quale c’è una capra. Il conduttore ti chiede : ‘Vuoi cambiare porta ?- Secondo te, è meglio cambiare (e quindi aprire la porta 2 invece della 1) oppure è meglio tenere la porta scelta all’inizio ?’
Marylin Vos Savant rispose che conveniva sempre cambiare, perc hè le probabilità di vincere l’auto salivano a 2/3…da qui il putiferio di accademici indignati. Tutte le lettere dicevano che era assolutamente identico tenere la 1 o cambiarla per la 2 e che si stupivano come qualcuno potesse sostenere il contrario, dopo tutto la situazione era così chiara. Ma forse tanto chiara non era …. vediamo di capirci qualcosa, il lettore amante di rompicapi può a questo punto interrompere per un po’ la lettura e ragionarci in proprio. Gli altri mi seguiranno in una semplice ricostruzione della situazione.
Nella fase 1 il concorrente sceglie una porta: ogni premio ha probabilità 1/3 di essere scelto.
Nella fase 2 il conduttore mostra una capra, questo può avvenire con tre modalità equiprobabili:
a. Se il concorrente ha scelto la capra 1 mostra la capra 2.
b. Se il concorrente ha scelto la capra 2 mostra la capra 1.
c. Se il concorrente ha scelto l’auto può scegliere se mostrare la capra 1 o la capra 2.
Come si vede esistono due modalità (a e b) in cui al concorrente conviene cambiare la sua scelta ed una sola modalità (c) in cui al concorrente conviene mantenere la sua scelta immutata.
In altre parole, la porta ‘mancante’ quella cioè che né il concorrente ha selezionato nella prima fase del gioco, né il presentatore ha aperto per mostrare la capra ha due possibilità di vincere su tre, ed è quindi sicuramente da preferire. Se volete divertirvi un po’ con i numeri potreste andare su Wikipedia e digitare Problema di Monty Hall (dal nome del presentatore della trasmissione televisiva) ed eseguire una simulazione del gioco scegliendo varie strategie, vedrete che dopo un po’ di oscillazioni la strategia di cambiare porta si attesta al 66.67% circa delle vincite (pari appunto a 2/3).
Ora il problema è in effetti arguto e si risolve solo arrivando ad una diversa formulazione della situazione, passando cioè dal punto di vista delle porte a quello del comportamento del conduttore che IN OGNI CASO ci mostrerà una capra, introducendo così un’anomalia nell’informazione da cui noi possiamo trarre delle conclusioni. Ciò che trovo molto importante come argomento di meditazione è che ancora ai nostri giorni esistano temi in cui la ‘gente comune’ può cimentarsi ad armi pari con i matematici, in cui cioè esiste spazio per la libera critica delle scienze da parte del pubblico, all’interno stesso della struttura argomentativa e non in termini di conseguenze sociali. Insomma un bell’esempio di come i fondamenti del pensiero siano ancora lì, alla portata di tutti, se appena uno si prende la briga di calarli in una situazione pratica e comprensibile (le regole del gioco), questa è in fin dei conti il contributo culturale della scienza di base e sapere che esistano temi matematici di punta ancora aperti al contributo del non esperto è una bella soddisfazione.
2. La scienza semplice non muore mai
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Nel 1938 l’Italia era nel pieno di un durissimo embargo a seguito dell’ aggressione all’ Etiopia e ci si doveva un po’ tutti industriare per ricavare energia e materie prime in maniera alternativa. Alcune trovate furono veramente geniali altre, come quella di ricavare ferro utilizzabile dall’industria pesante andando in giro con delle calamite per le spiagge tra Ostia e Civitavecchia erano effettivamente piuttosto peregrine, anche se il gioco della calamita a cui aderivano complicate concrezioni di granelli neri servì per anni a tenere buone generazioni di bambini romani (tra cui il sottoscritto) nel periodo tra il pranzo ed il ‘primo bagno consentito da mamma’. Tra le trovate geniali si annovera sicuramente quella del chimico organico Roberto Intonti (1904-1968), bravissimo e sconosciuto scienziato che nel 1938 lavorava presso l’Istituto Superiore di Sanità che allora si chiamava Istituto di Sanità Pubblica). In una nota pubblicata dagli Annali (allora Rendiconti) dell’ Istituto nel Gennaio 1938 dal titolo ‘Utilizzazione di fondi di caffè’ (i lettori possono leggere la nota in proprio all’indirizzo: http://www.iss.it/anna/rivi/cont.php?id=2137&lang=2&tipo=16&publ=3) Intonti ci offre un saggio mirabile di scienza applicata al bene comune .
La nota è un capolavoro di semplicità e precisione, l’opposto di certe fumisterie attuali che ci propongono risvolti sensazionali basati sul niente, Intonti svolge da solo il lavoro che adesso implicherebbe la creazione di ‘Excellence Networks’, l’attivazione di progetti europei dalla intricata burocrazia, attività di lobby, studi di fattibilità e via delirando. Invece il nostro ci descrive il modo di riciclare i fondi di caffè in maniera praticamente completa derivandone combustibile e sapone. Non solo Intonti ci dice come fare descrivendo accuratamente le procedure di estrazione in maniera da poter essere sempre e comunque smentito o corretto (la cifra fondamentale del fare scientifico) ma si prende la briga di abbozzare un conto economico delle rese rispetto allo sforzo necessario concludendo che la cosa è conveniente per le grandi città ma non per gli esercizi sparsi nel territorio dove il costo della raccolta renderebbe anti-economica la procedura.
La cosa fa un po’ ridere e ci rimanda l’idea di un’ Italia povera e un po’ accattona ? Non dovrebbe, soprattutto se notiamo come, a settanta anni dalla sua formulazione, il tema ritorna nel sito dell ‘Università di Roma ‘La Sapienza’ : http://www.uniroma1.it/eventi/ricerca/caffe.php
I due proponenti della procedura (sovrapponibile a quella di settanta anni fa) non conoscevano l’articolo di Intonti ma sono stati felicissimi di leggerlo, a dimostrazione che la scienza semplice non muore mai e che l’Italia ha di fronte delle meravigliose prospettive in questa via di scienza ad alto contenuto inventivo e bassa intensità di capitale, dove ciò che fa la differenza è l’idea del singolo e non esiste ‘materia umile’ che non possa essere nobilitata (meglio i fondi di caffè che cento finte scoperte di geni che causano la malattia tal dei tali). Qualcosa che da noi non manca, se solo avessimo la voglia di coltivare teste pensanti e libere.
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