Come per ogni innovazione tecnologica, accanto agli iniziali entusiasmi giustificati dalle enormi potenzialità di questo media, sempre più specialisti si sono interrogati sui rischi psicopatologici connessi all’uso e soprattutto all’abuso della Rete. In particolare si è ipotizzata l’esistenza di una forma di dipendenza, definita IAD: Internet Addiction Disorder. In realtà non dovremmo trascurare il fatto che tutto nacque per un fantastico scherzo planetario: uno psichiatra americano fece girare in Rete i criteri diagnostici per la dipendenza da Internet, mutuati dal DSM IV. Come spesso succede in Rete, la fantasia fu superata dalla realtà, sia pure virtuale: la dipendenza divenne un argomento straordinariamente attuale. Dibattuta, demonizzata, esaltata: la Rete non colse la differenza fra realtà e scherzo. Altra beffa clamorosa fu l’invenzione di gruppi on line di auto-aiuto per retomani. L’Internet Addiction Disorder, quella vera e non la beffa, divenne un fenomeno noto al di fuori della Rete quando nel 1996 la dottoressa statunitense Kimberly Young, dell’Università di Pittsburg, pubblicò la ricerca “Internet Addiction: the emergence of a new clinical disorder” (1996), relativa allo studio di un campione di soggetti dipendenti dalla Rete. Da allora ad oggi sulla stampa vengono continuamente riportate le vicissitudini dei soggetti affetti da questa nuova patologia.
I problemi psicopatologici Internet-correlati sono per alcuni psichiatri e psicologi (sempre più numerosi), affascinanti e nuovi, ma questo non vuol dire affatto che la Rete sia un qualcosa di pericoloso e da evitare: più semplicemente è inevitabile studiare l’impatto che un mezzo così straordinario e, direi, così vitale ha sulla mente umana. Fenomeni che per ora sono descritti come psicopatologici potrebbero in realtà essere gli indicatori di una curiosa ed a tratti incomprensibile evoluzione dell’uomo del terzo millennio (homo tecnodigitalicus).
In effetti le nuove tecnologie mediatiche, oltre ad essere uno straordinario motore di cambiamento sociale e di trasformazione culturale, stanno aprendo territori sconfinati di studio e di ricerca per antropologi, sociologi, psicologi e psichiatri: i net-dipendenti, i depressi della realtà virtuale, i cybersex-dipendenti, i cybertravestiti, i prigionieri delle MUD, gli innamorati in chat e tanti altri ancora, dai protagonisti delle flame wars, le liti furibonde in chat, a coloro che non possono smettere di informarsi, affetti come sono da quella strana patologia definita “Information Overload Addiction”, sono tutti fenomeni che destano grande attenzione.
Che cos’è la Rete, se non un immenso e sconfinato labirinto, luogo senza centro, anarchicamente disegnato e ridisegnato, spazio di ricerca al servizio di un’impresa conoscitiva straordinaria, ma anche dimensione dello smarrimento del sé e del percorso, attraverso la perdita del fine e dello scopo?
La comunicazione virtuale è caratterizzata da ipertestualità, ipermedialità, elevata velocità, sostanziale anonimato, giochi di identità, superamento dei normali vincoli spaziotemporali, parificazione dello status sociale, accesso a relazioni multiple, insorgenza di emozioni imprevedibili, anarchia e libertà di trasgressione: ingredienti straordinari per trasformare il cyberspazio in un’affascinante dimensione del nostro stesso vivere. In Rete, dunque, è possibile amare, studiare, comprare, sognare, è possibile, in altre parole, vivere.
Le caratteristiche della comunicazione virtuale possono rendere la Rete più agevole della realtà, anzi tanto gradevole da instaurare una sorta di dipendenza. Alcuni studi, che ho condotto con la collaborazione di molti psichiatri e psicologi, indicano che il 10% dei navigatori è esposto a questo rischio: un dato inquietante e a mio parere eccessivo. È necessario studiare questo strano fenomeno dei net-dipendenti quando Internet non sarà più un evento ma una ineludibile realtà. Alcuni soggetti poi presentano curiose regressioni. Ecco allora l’insorgere di un ritiro autistico, che prelude a fenomeni dissociativi anche gravi: la Trance Dissociativa da videoterminale, patologia rara, almeno per ora, che in Italia ha colpito poche decine di irriducibili navigatori. Fragilità pregresse impietosamente esaltate dalla Rete? Forse. Potenza straordinaria della Rete stessa? Forse. I prossimi studi definiranno meglio la faccenda. Intanto osserviamo alcune forme di navigazione patologica: cybersex addiction, compulsive on line gambling, cyber relationship addiction, MUDs addiction, information overload addiction. E ancora: come interpretare il diffusissimo fenomeno del cybertravestitismo? I mondi virtuali consentono la creazione di identità talmente fluide e multiple da trasformare i limiti del concetto stesso di identità. L’esperienza del cyberspazio è la concretizzazione di un altro modo di considerare il sé, non più come unitario, ma multiplo. Esperienza questa non del tutto negativa, visto che può consentire al nostro io di accedere ed elaborare i nostri molti sé. Il concetto di addiction non mi sembra che possa esaurire un fenomeno così complesso come le condotte psicopatologiche on line. Per questo preferisco parlare di Internet Related Psychopathology (IRP), nella quale comprendere una costellazione di disturbi e di comportamenti molto lontani dall’essere sistematizzati e definiti. Tuttavia tutti questi segnali indicano qualcosa di nuovo: siamo cioè alle soglie di una mutazione dell’umano, che, forse, più che psicologica e sociale, è antropologica.
Tanti sono ancora gli aspetti da chiarire. Tuttavia è prevedibile che in futuro, in considerazione dell’inarrestabile diffusione della Rete, fenomeni, per così dire, “psicopatologici” connessi ad Internet potranno assumere dimensioni più ampie e contorni più definiti. Inoltre presto Internet riguarderà non solo giovani-adulti (la maggioranza degli utenti oggi in Italia), ma anche adolescenti e bambini. È perciò ineludibile la necessità di studiare con attenzione l’impatto che una così potente tecnologia ha sulla psiche dell’uomo.
Non possiamo dunque non chiederci “dove stiamo andando?”: l’espansione della ragnatela è di per sé inarrestabile ed apportatrice di novità straordinarie. Nessuno vorrà rinunciare agli enormi benefici che ne derivano. L’uomo scopre tuttavia nuove ed altrettanto potenti gratificazioni, connesse con le caratteristiche stesse della comunicazione virtuale ed interattiva propria della Rete. Non allarmismi: il popolo della Rete ha protestato contro il clamore che stampa, TV e radio hanno dato agli studi condotti da me e dai collaboratori. Mi sono attirato le critiche del popolo di Facebook quando ho dichiarato che FB è un luogo per “occidentali viziati e narcisisti”, dove il concetto di “amicizia” viene banalizzato in modo estremo e dove prevale la necessità di esporre in vetrina se stessi in modo inconcludente e superficiale. Le critiche sono in parte giustificate: i nostri dati sono ancora incerti, mal definiti e nebulosi e la Rete è un fenomeno così complesso da apparire indescrivibile. E in definitiva non è detto che i “paradisi telematici” siano più dannosi di quelli “artificiali” dell’oppio: anzi, per certi versi, aprono prospettive affascinanti attraverso le quali è possibile intravedere potenzialità davvero interessanti. La Rete delle Reti si propone come una sorta di cervello planetario, dai confini incerti ed indefinibili e dalle potenzialità straordinarie.
Siamo dunque alle soglie di una fase evolutiva dell’umanità, caratterizzata da tecnologie sempre più umanizzate e da uomini sempre più tecnologizzati. I fenomeni che osserviamo e che per ora percepiamo come psicopatologici potrebbero essere i segni di un cambiamento: l’uomo del III millennio, comunque, sarà diverso.