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di Massimiliano Vatiero
rnCome molte cose in Italia, certi argomenti tornano regolarmente di moda nel dibattito politico; è questo il caso della riforma dell’art. 41 della Carta Costituzionale. Una riforma che secondo le intenzioni del Governo Berlusconi, dovrebbe togliere regole piuttosto che aggiungerle in ossequio al principio “è lecito tutto ciò che non è vietato”.

Ma all’Italia, a ben vedere, occorrerebbe una riforma della “Costituzione economica”, che comporti un appesantimento della regola costituzionale, innalzando la tutela della concorrenza a rango costituzionale, proprio per salvaguardare in un’ottica fortemente liberale gli individui da interventi discrezionali e distorsivi del potere politico nel mercato e nella sfera economica.

Anche se sia le forze di sinistra sia alcune aree cattoliche manifestarono una certa ostilità al mercato come strumento preminente per allocare beni e per massimizzare il benessere dei cittadini, i Costituenti dovettero obtorto collo riconoscere l’iniziativa dei privati, indispensabile per la ricostruzione del Paese e necessaria per includere l’Italia all’interno di un modello di sviluppo economico diverso da quello dei regimi comunisti. La formulazione dell’art. 41 della Costituzione si dimostra quindi, oggi come ieri, terreno fertile sia per i fautori della libera concorrenza che per i fautori dell’interventismo pubblico nell’economia. Il monopolio (che Einaudi definiva “il male più profondo della società presente”), fu contrastato non tramite politiche della concorrenza bensì con la collettivizzazione (vedasi art. 43 della Costituzione) o con enti appositi, come fu il Comitato Interministeriale Prezzi. Anche se negli anni ’50 si registrano diversi tentativi senza successo per una legge anti-monopolistica, è solo con le pressioni provenienti dalla Comunità Europea che l’Italia si è dotata di un diritto antitrust (legge n. 287 del 10/10/1990) in cui nell’art. 1 si richiamano i valori insiti nell’art. 41 della Costituzione.

D’altro canto questi 20 anni circa di applicazione del diritto antitrust in Italia hanno mostrato quanto sia dannosa la mancanza di un riferimento esplicito nella Costituzione alla tutela della concorrenza nel mercato. Se è vero infatti che l’art. 41 e seguenti non hanno impedito processi di liberalizzazione, è anche vero che non hanno frenato interventi illiberali in economia del potere politico. Una interpretazione del liberalismo europeo (leggasi, Scuola di Friburgo od ordoliberali) può essere utile a questo punto. Il pensiero ordoliberale ritiene che un forte diritto della concorrenza protegga gli individui sia da abusi del potere privato nel mercato sia dalla discrezionalità del potere politico. Un diritto effettivo a tutela della concorrenza, in altri termini, libera l’iniziativa imprenditoriale promuovendo la contendibilità di mercato, salvaguarda ed estende il benessere del consumatore, ma anche argina le politiche industriali attive di una nazione alla sola tutela della concorrenza. In questa prospettiva, tanto più in un paese come l’Italia, il liberale non deve preoccuparsi meramente di tutto ciò che non è vietato, ma anche richiedere vincoli stringenti a iniziative politiche tese a modificare discrezionalmente tali divieti. Solo per citare due esempi recenti: (i) la disciplina eccezionale dettata per il salvataggio di Alitalia, che oltre a gravare sui contribuenti, ha introdotto una serie di restrizioni alla concorrenza che hanno determinato e continuano a generare svantaggi per i consumatori sulle rotte nazionali; (ii) il ritardo nella nomina dei vertici AEEG, che non solo penalizza i consumatori, ma gli stessi operatori. In questo senso un esplicito riferimento alla tutela della concorrenza come valore costituzionale può regolamentare tali intromissioni o inadempienze del potere politico.

Inoltre la tutela della concorrenza, includendo la difesa di mercati contendibili, implica una libertà effettiva di iniziativa privata; per questo, in una riformulazione dell’art. 41 potrebbe essere sufficiente un riferimento alla difesa di mercati concorrenziali per assolvere anche quanto già previsto nel primo comma dell’odierno art. 41. Nel caso in cui invece si ritenesse comunque di mantenere un’affermazione esplicita alla libertà di iniziativa privata, occorrerebbe aggiungere che tale libertà non è appannaggio solo dell’imprenditore ma anche del consumatore. Infatti il consumatore valutando i prezzi relativi dei beni sul mercato, premiando o punendo un produttore, domandando un certo tipo di qualità piuttosto che un’altra, ha un ruolo “di iniziativa economica” non secondario rispetto a quello dell’imprenditore. In questo senso la revisione dell’art. 41 dovrebbe introdurre un riferimento esplicito alla difesa ed estensione del benessere del consumatore come manifestazione della libertà costituzionale di iniziativa privata.

In questa prospettiva l’articolo 41 dovrebbe essere riformulato in maniera tale da comprendervi come comma quanto segue: «La legge tutela e promuove la concorrenza effettiva nei mercati, difendendo la libera iniziativa economica dei privati e garantendo gli interessi del consumatore o utente».

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