Di cosa ha bisogno la sanità italiana? Di recuperare (dove è stata persa), di mantenere e consolidare (dove, per fortuna, è ancora rimasta) un’attenzione prioritaria alle esigenze delle persone (bisogni di salute individuale) e della popolazione (bisogni di salute collettiva o di comunità).

Ciò vuol dire rispondere meglio alle finalità del SSN, di recuperare, mantenere, migliorare lo stato di benessere fisico e psichico delle persone, come recita l’art.1 della legge 833/78 che ha introdotto nel nostro Paese il SSN a copertura universale. Mettere o rimettere il paziente al centro del sistema, dichiarano tutti, anche se molte di queste dichiarazioni appaiono come grandi bugie e ipocrisie di fronte ai comportamenti reali di chi le pronuncia, ma il punto critico è sintetizzabile in una domanda: come farlo realmente?
Una prima cosa che il futuro governo, cercando e trovando l’accordo con le Regioni, potrebbe e dovrebbe fare è quello di tenere ben distinti due ambiti:
Ø    quello istituzionale – tecnico – contabile, che riguarda i provvedimenti sul Fondo Nazionale destinato alla sanità, sui criteri di riparto, sulla responsabilizzazione circa i livelli di assistenza e il mantenimento dell’equilibrio economico finanziario da parte delle Regioni, che è una condizione di sopravvivenza;
Ø    quello delle iniziative di ascolto, comunicazione, interazione con la popolazione.
Come sarebbe bello e soprattutto utile per tutti se, dopo decenni in cui ogni volta che si è discusso del DPEF (entro giugno) e della Legge finanziaria (entro dicembre) l’opinione pubblica era bombardata da interviste, analisi, libri bianchi, verdi o di altro colore che segnalavano l’eccessiva spesa sanitaria, il funzionamento (o mal funzionamento) del SSN italiano come un problema per il Paese, vedere nel prossimo futuro un certo numero di articoli di fondo dei giornali più letti, interviste con esperti, politici, manager, medici, biologi, infermieri, tecnici, altri operatori nei quali il concetto di fondo fosse questo: la tutela della salute rappresenta una grande opportunità per il Paese!
Tra l’altro il periodo sembra propizio, visto che tra crisi finanziarie da subprime e da numerosi altri sofisticati strumenti di “architettura finanziaria, di carta, di creazione di ricchezza virtuale”, ammissione di recessione in atto in USA, allarme rosso per l’economia europea stretta tra sviluppo lento e inflazione in ripresa, record dei prezzi per oro, petrolio ed altre materie prime, minacce di ritorno a climi da guerra fredda da parte della Russia, surriscaldamento del pianeta e rischi climatici incertezze sulla sostenibilità a livello mondiale di uno sviluppo “senza o con poche regole” le promesse dell’era dorata della globalizzazione sembrano perlomeno ridimensionate o messe in serio dubbio.
Perché la tutela della salute può essere vista come opportunità? Per il semplice motivo che il circuito consumi (risposte ai bisogni) – produzione di servizi – investimenti necessari per migliorare la qualità della salute ruota e si sviluppa attorno alle persone ed è meno dipendente, rispetta ad altri circuiti economici dal vincolo delle risorse naturali, il cui controllo e i cui prezzi possono strangolare l’economia e da una elevata produttività ottenuta calpestando diritti fondamentali. La filiera della tutela della salute è caratterizzata da un elevato contenuto di lavoro (labour intensive) e, soprattutto, di conoscenze (knowledge intensive) che usa come materia prima il cervello dei ricercatori, dei medici e altri operatori, dei pazienti stessi che si impegnano a modificare stili di vita, a seguire scrupolosamente le cure, ad esprimere la forte volontà di combattere e vincere le malattie.
Il Governo e le Regioni dovrebbero lanciare al Paese e nel Paese un forte messaggio di “tolleranza zero” nei confronti di comportamenti che non si fondano su una reale attenzione alle esigenze di salute dei pazienti, che non si propongono la massima appropriatezza delle prestazioni, che utilizzano le cure “più costose o più alla moda” e non quelle più efficaci. Per fare ciò, il Governo e le Regioni dovrebbero “stabilire un patto” non solo sul rispetto di comportamenti virtuosi riguardanti livelli di spesa ma soprattutto finalizzato a lanciare e realizzare programmi di prevenzione dei rischi di malasanità, di eliminare sprechi e inefficienze, di individuate e contrastare comportamenti contrari alla dignità dei pazienti. Meno inchieste e commissioni dopo fatti tragici e più notizie su interventi che hanno potuto evitare fatti tragici o che hanno consentito di individuare e allontanare coloro che sfruttavano il dolore e la sofferenza delle persone per arricchirsi o rendere “redditizie” imprese fornitrici dell’SSN clientelari e poco innovative ed imprenditoriali.
Segnale che deve essere collegato ad interventi sui sistemi di selezione, di retribuzione, di valutazione, di sviluppo di carriera, di investimenti in formazione degli “operatori della salute” a tutti i livelli idonei a distinguere chi opera bene da chi opera male tra i tanti problemi di gestione del personale, due sono urgenti e critici:
a) la carenza di personale di assistenza non medico che impone di adottare decisi ed efficaci interventi per integrare (e formare) operatori immigrati e per riuscire ad adattare i processi di cura alle diverse culture del crescente numero dei pazienti non italiani;
b) la ridefinizione di modelli organizzativi idonei ad utilizzare al meglio infermieri ed altre professioni non mediche per le quali è richiesto il titolo di studio della laurea, ma che spesso sono ancora utilizzate per funzioni non adeguate al più elevato livello di conoscenze e professionalità che ora esse hanno acquistato.
Un altro linea di intervento che lo Stato e le Regioni dovrebbero privilegiare è quello sulle competenze per le funzioni, posizioni, ruoli manageriali e organizzativi, che sono quelli nei quali le persone hanno il potere e la responsabilità non solo del proprio lavoro, ma anche di quello degli altri. Superare la fase dei “bollini formali” della formazione obbligatoria (misurata dai crediti formativi sia per i professionisti che per i manager) e introdurre sistemi in cui si valutano le competenze reali acquisite dai partecipanti alle varie iniziative formative di tipo “tradizionale” o “sul campo”. Il riconoscimento della capacità di formare professionisti “aggiornati” o manager di qualità non va dato a priori a Scuole o Istituzioni spesso create ad hoc senza precedenti competenze ed esperienze del settore, ma va attribuito sulla base della qualità delle persone che hanno frequentato certe iniziative formative. Al “mercato” degli accreditamenti concessi a priori a Scuole, Istituti, Centri, occorre sostituire, sostenere e potenziare il “mercato” delle professionalità vere, del riconoscimento del merito, di chi sa scegliere collaboratori validi perché, a sua volta, è valutato sui risultati e non sui programmi o sulle promesse.
Una terza linea di azione è quella di affrontare il tema della spesa per farmaci, tecnologie mediche, ecc., senza apriorismi che dovrebbero essere ormai superati, anche se non lo sono. Abbandonare il preconcetto che le imprese fornitrici si preoccupano solo di vendere al SSN e “fare profitti” e introdurre, sperimentare e diffondere forme di acquisto e di collaborazione con i “fornitori” del SSN idonei a corresponsabilizzarle sui risultati finali. Superare il criterio dell’“l’offerta economicamente più conveniente”, come recitano le norme europee e nazionali sugli acquisti pubblici (spesso con l’aggravante dell’interpretazione secondo cui si privilegia il prezzo più basso), e sostituirlo con il criterio dell’“l’offerta che dimostra il migliore rapporto tra risultato in termini di salute e costo non solo del farmaco della tecnologia, ma del complessivo processo assistenziale consentiti dal loro uso”. Sarebbe una grande sfida non solo per i Direttori Generali delle aziende e per i responsabili degli acquisti, ma anche per le imprese fornitrici che sarebbero stimolate all’innovazione non solo tecnologica, ma anche delle forme di fornitura e della collaborazione nel migliore uso dei propri prodotti e servizi.
Se il processo si svilupperà dal basso, si potranno elaborare ed applicare Piani Regionali (e Nazionale), provvedimenti legislativi che saranno più realistici perché avranno più solide fondamenta e saranno sentiti come propri da chi ogni giorno è in prima linea.
Un ultimo suggerimento per il al futuro Ministro: prima di mettersi a pensare a nuove leggi predisponga e faccia approvare (o abroghi) tutti i Decreti e le altre norme attuative di precedenti leggi rimaste in sospeso. In tal modo, gli Assessori regionali, i manager regionali delle agenzie sanitarie regionali, delle aziende territoriali e ospedaliere e gli operatori potranno operare, nessuno osa sperare nella certezze delle leggi, ma almeno in un contesto normativo un po’ meno confuso e contradditorio.
 
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