La legge elettorale è il meccanismo che trasforma i voti in seggi, dando così piena attuazione alla forma democratica. Tuttavia, come il costituzionalismo meno formalista ha ampiamente sottolineato e poi come da cittadini abbiamo potuto sperimentare, si tratta anche della legge per eccellenza più politica, perché attua il rapporto di rappresentanza.
La legge elettorale disegna l’assetto del potere, consentendo di scegliere modi, forme ed effetti che le dinamiche politiche possono determinare nel delineare un sistema politico-partitico.
Insomma, si tratta della tavolozza che consente all’elettorato-pittore di disegnare il quadro.
Dunque, è una legge utile alla democrazia, in quanto consente di dare piena attuazione al principio rappresentativo ma è, al tempo stesso, indice e parametro di come i soggetti politici rilevanti di un ordinamento intendono le loro responsabilità verso gli elettori e di come intendono i loro rapporti reciproci.
Il duplice senso che incarna la legge elettorale, rappresenta appieno il nostro dilemma: quello di una legge elettorale, che tutti gli attori politici pubblicamente dechiarano sia necessario modificare (compreso il suo estensore materiale il Sen. Calderoli), eppure che non viene modificata. Certo, non manca l’impegno di molti, come quello dell’On. Roberto Giachetti che ne sta facendo – e non da ora, ma già dalla scorsa Legislatura – un simbolo di evidente lotta politica non violenta. Tuttavia, coloro che davvero credono in ciò sono pochi, nonostante – si badi bene – i ripetuti e numerosi appelli del Presidente Napolitano.
Perché allora non si arriva ad una nuova legge elettorale?
Perché il Governo non ricorre al decreto legge, motivato dalla “straordinaria necessità ed urgenza”?
La ragione è presto detta: perché essendo la legge elettorale quella che delinea “i rapporti di forza” tra i partiti politici, questi non sono ancora così stabili da essere in grado di sapere – con consapevolezza – ciò che sono, ciò che vogliono essere e come vorranno porsi in una eventuale prossima competizione politica. Il sistema politico, infatti, sta ancora tentando di ristrutturarsi, per cui vive ancora una fase cloud, di sospensione fra le nuvole.
D’altronde, dei quattro macro soggetti politici oggi in Parlamento (Pd, Pdl, Scelta civica e Movimento 5 stelle) ciascuno di essi ha un argomento intellegibile per non scegliere fino in fondo la proposta di legge. Infatti, mentre il Pd è alla vigilia di un tormentato congresso, alla fine del quale – forse – potrà esprimere chiaramente un verso, una scelta politica unitaria, il Pdl si sta ancora interrogando se le ragioni dello stare insieme delle sue due anime consentano di slegare il voto sulla decadenza di Berlusconi dalle sorti del governo di larghe intese. Per quanto riguarda Scelta Civica è evidente ai più il percorso di dissoluzione imboccato, così come si può chiaramente capire che per un movimento come è il Movimento Cinque Stelle, essere parte di un accordo generale vuol dire abdicare all’ottica con la quale è in Parlamento, ossia essere anti-sistema. Per cui qualsiasi accordo con tutti gli altri sulla legge elettorale sarebbe quindi un non senso per la cultura “senza se e senza ma”.
Dovremo aspettare il promunciamento della Corte? Mi auguro di no. Non da ultimo perché il clima di sfiducia che c’è contro le istituzioni sta raggiungendo livelli insostenibili, che non permettono alla politica ulteriori ritardi.