rnNon senza una vena autoironica, Michele Salvati qualche giorno fa sul Corriere ha fatto un raffinato richiamo all’apologo di Brecht del Gotama Budda e della casa in fiamme: “Maestro la casa è in fiamme ma gli abitanti non vogliono uscire: perderebbero i loro beni e poi fuori fa freddo”. L’icastica risposta del Budda recita: “Chi non si accorge del pericolo, merita di morire”. Auguriamoci di non dover, con il passare del tempo, convincerci dell’ineluttabilità di questa metaforica sorte. Speriamo ancora che la classe dirigente del nostro Paese sappia adoperarsi per un positivo mutamento di rotta. La primavera però tarda ad arrivare!
Beh a noi pareva già una conquista se davvero si fossero create le condizioni per un bipolarismo meno muscolare e litigioso. Pareva aprirsi una stagione nuova, che faceva ben sperare sia sul versante del complessivo decongestionamento del conflitto politico, sia su quello dell’auspicabile realizzazione di condivise riforme del sistema Paese.
Oggi lo scenario sopra citato pare lontano anni luce. Non solo sono velocemente naufragati gli auspici di un dialogo profondo tra gli schieramenti in campo, ma in questi giorni assistiamo ad un ulteriore colpo al fisiologico funzionamento del bipolarismo. Quest’ultimo, infatti, necessita di un rapporto funzionale tra il peso delle maggioranze parlamentari e il bilanciamento dato da una opposizione autorevole e credibile. La crisi profonda in cui sembra entrato il PD e il suo progetto, sostanziatosi con l’avvicendamento alla segreteria e un non ben definito percorso sino al congresso dell’autunno prossimo, apre ulteriori fronti sul versante del buon funzionamento della rappresentanza politica. Comunque la si pensi sul piano delle appartenenze politiche, non è difficile prefigurare scenari per molti versi più complessi rispetto a quelli attuali.
All’interno del PD potrebbero prender corpo tendenze alternative o ritorni al passato, con evidente turbamento del processo che pareva essersi istaurato: dal bipolarismo degli schieramenti al bipartitismo. Abbiamo letto in questi giorni, senza sorpresa, appelli alla creazione di un soggetto di centro (una sorta di terza via) che raccolga in un progetto nuovo coloro che appartengono alla tradizione del popolarismo e alla identità democristiana: Savino Pezzotta ad es. – auspicando la fine del progetto PD – propone di leggere questa fase complessiva della vita civile come il tempo della bio-politica, in cui solo visioni antropologiche affini possono garantire coerenze programmatiche e alleanze salde. Simmetricamente molti si stanno richiamando al modello ulivista delle larghe alleanze. Anche per queste fibrillazioni siamo indotti a pensare a una possibile mutazione del quadro politico-istituzionale.
Comunque vada si può essere legittimamente preoccupati per l’alto coefficiente di instabilità che viene così introdotto all’interno del funzionamento delle istituzioni e del fisiologico sistema di alternanza. Non è così peregrino prevedere (anche se al momento è solo un’ipotesi di scuola) che un quadro simile si produrrebbe se il leader dell’attuale maggioranza decidesse di farsi da parte. Tali scenari ci rendono ancor più convinti che la transizione verso un sistema politico stabile non è ancora stata compiuta. Rimaniamo comunque in attesa delle prossime scadenze elettorali.