Ma se tale chiarificazione avviene, la soluzione non è soltanto “ torni la politica” e neppure, all’opposto, il trionfo della tecnicalità. Non importa se a farlo siano tecnici o politici, uomini di Stato o economisti, ma il discorso deve essere che il “ rinascimento prossimo venturo” passa da una palingenesi comunitaria. Questa società ha urgente bisogno di rimettere al centro la persona, i suoi bisogni, l’”essenziale”, che è una famiglia, un lavoro dignitoso, esso funzionale alla vita e non viceversa, un idoneo spazio di libertà che incontra il limite della convivenza con gli altri.
Questo tempo ha necessità di discorsi chiari, immediati e, soprattutto, che raccolgano la terribile sfida di essere al contempo “ alti” e “ bassi”, “ semplici” e “ complessi”, e, come diceva un cantautore, “ con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro”.
Il nodo, dunque, non è quando si vota e per quali coalizioni. La scommessa (persa in partenza?) è di poter dare consenso a chi dica: “ Signori, questa in corso è una guerra, noi dobbiamo prepararci al dopoguerra, alla ricostruzione, morale oltre che economica”. Se si rilegge il discorso di Benedetto XVI alle popolazioni dell’Emilia colpite dal terremoto, si ritrova la grande forza evocativa del “ Ricostruite!”. La “ ricostruzione” diventa paradigma di una serie di elementi:
– presa d’atto, realistica ma non disperata, delle macerie;
– svolta psicologica: guardo a ciò che potrò essere ancora e non soltanto a ciò che ero;
– recupero dell’ “essenziale”.
Il che non ha soltanto un profilo “ alto” ma è ricco di ricadute concrete: soltanto a titolo esemplificativo, il recupero di un’economia dell’ “essenziale”, dei lavori “ scomparsi”, del rilancio dell’agricoltura, la valorizzazione “ massima” dell’esistente (turismo, cultura e così via) perché non c’e’ molto di più e non è più tempo di spreco!
Immagino l’obiezione: e con quali risorse? E’ una considerazione fuorviante: la crisi non è delle risorse in sé, ma di quelle disposte a stare in circolo.
Ecco il compito della politica dell’ “essenziale”: rimettere in moto le energie sociali (ad esempio, il volontariato come risorsa) ed economiche, garantendo i presupposti dell’” essenziale”. Chissà se avremo alle prossime elezioni programmi di due pagine: identità nazionale (con un federalismo fiscale solidale), legalità ( con il recupero “ fisico” del territorio alla Stato), servizi alla persona (con la valorizzazione della sussidiarietà), certezza di giustizia (con una riforma del deficitario sistema dei “ controlli – giurisdizione penale e civile, Banca d’Italia, autorità varie -).
Temo che non troveremo programmi così diretti e le parole “ in libertà” serviranno a coprire la crisi, quella vera, etico- morale, personale e collettiva, istituzionale ed individuale.
Se non ci si guarda allo specchio, non c’è spending review che tenga e non servirà a nulla prendersela con i tedeschi, glia americani, i russi…
Il fatto è che stavolta la posta in gioco è davvero alta: abbiamo messo sui “ numeri” tutta la nostra “ dote” residua!
Ritorno all’essenziale
La crisi è fenomeno globale, anzi, soprattutto occidentale, ma se essa viene ridotta a maniacale o fobica rincorsa dei numeri ( lo spread, i tassi, il pil etc. etc.), al danno aggiungiamo al beffa. Ed infatti se non si comprende che la vera crisi attiene al modello sociale, culturale, non più concepibile in esclusivi termini di “ produzione – consumo”, di “ do ut des”, di “ mercato che si autotutela” e si fa garante del benessere collettivo, la via d’uscita è lontana e forse irraggiungibile.
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