Allora i volti della gente, che si alternava nei discorsi, erano anonimi; facce di cittadini pressoché sconosciuti che, con passione e generosità, si proponevano di risvegliare la coscienza civile e politica del Paese.
Era un moto di buon senso, di senso civico, di legittima ribellione morale verso chi usava la legge in palese contrasto con il bene comune.
Era un moto di buon senso, di senso civico, di legittima ribellione morale verso chi usava la legge in palese contrasto con il bene comune.
Il momento storico era diverso: si veniva da elezioni durissime, dove la scontata vittoria berlusconiana era uscita annacquata dal recupero della coalizione guidata dall’allora candidato premier, Francesco Rutelli. Il risultato di quella tornata elettorale, nel suo complesso numerico, faceva registrare che i cittadini che avevano votato contro Berlusconi erano maggioranza (20 milioni contro i circa 17 milioni dell’allora Cdl), considerando che D’Antoni e Di Pietro erano andati da soli, con un complessivo 7%.
Ad un esito elettorale dunque non chiarissimo, si erano da subito prepotentemente imposte alcune leggi c.d. vergogna (falso in bilancio, rogatorie internazionali, lodo Schifani, Cirami-Carrara, ex Cirielli ecc.), che per la prima volta il leader del centrodestra riusciva far promulgare (nella brevissima esperienza del 1994, invece, l’unico atto che si ricordi fu il velleitario tentativo, bloccato dall’allora presidente Scàlfaro, di proporre l’avv. Previti a capo del Ministero della Giustizia).
Diversamente da allora, la Piazza Navona di oggi, ci propone volti di politici di professione, di intellettuali professionisti e di professionisti dello sberleffo e della parodia, che da decenni calcano le scene dei nostri televisori.
Ed era perciò scontato che i toni e i contenuti sarebbero stati diversi dai girotondi del 2002. Alla spontaneità dell’indignazione, quella vera – che il filosofo Baruch Spinoza definiva come “non animata dalla distruttività dell’odio” – si è sostituito il professionismo della demonizzazione mediatica. Al buon senso si è sostituito un pezzo di ideologia. Ed è perciò accaduto che dei comportamenti di Berlusconi finissero per diventare responsabili addirittura il Papa e il Capo dello Stato. Perché sì la parodia porta a questo: a creare i collegamenti più inesplorati, ad attribuire le responsabilità per tutto ciò che succede a chiunque incarni un potere. Ma i professionisti della parodia non possono prendersela con il potere di cui sono figli, cioè quello mediatico, ma con quei poteri che ideologicamente rifiutano. Così una manifestazione lanciata come moto di indignazione contro le leggi vergogna, diventa anche una manifestazione contro lo Stato e chi ne incarna la massima carica e contro la Chiesa e chi la rappresenta.
Cosa è cambiato allora da quella stagione girotondina cominciata del 2002?
E’ cambiato che, appunto, sono trascorsi sei anni, due campagne elettorali e 20 mesi di governo di centrosinistra, cui hanno partecipato non pochi esponenti politici scesi in piazza Navona. Nonostante, cioè, con la vittoria dell’Unione nel 2006 ci fosse l’occasione di far seguire alla fase critica destruens una fase costruens, con vere riforme di sistema, a cominciare dalla giustizia, l’Italia è invece rimasta in mezzo al guado a causa di un Governo paralizzato per l’eterogeneità delle sue componenti. Dunque si è andati di nuovo a elezioni e la componente della sinistra più radicale è scomparsa, punita dagli elettori.
Eppure proprio quella componente nella sua intellighenzia più acuta, assieme a Di Pietro, ha sfilato sul palco di Piazza Navona. La contraddizione è tutta qui: è una manifestazione fuori tempo massimo, che ha perso i connotati della spontaneità con cui tanti cittadini si aut organizzavano, scendendo in piazza in lunghi e simbolici girotondi per manifestare il proprio dissenso.
A Piazza Navona non sono sfilati i girotondini, che non esistono più, ma la loro parodia ideologica, eseguita da comunicatori di professione. E i cittadini, che assistevano a quella parodia, hanno visto uno spettacolo, come fosse un concerto o appunto una performance di Beppe Grillo. Se ne avessero ancora le forze, i girotondini veri dovrebbero indignarsi contro la parodia di loro stessi. Ma le forze non ci sono più.
Certo, ciascuno è libero di scendere in piazza quando crede, però memori dell’assoluta sterilità delle manifestazioni del passato, occorre chiedere di illustrare la proposta che c’è dietro, e i mezzi per realizzarla. Ma oggi proposte alternative a questo governo non ce ne sono, e se ci sono corrispondono a minoranze del Paese.
Non è allora più lungimirante ripartire con la riflessione, rimettersi insomma a elaborare un pensiero politico forte, autenticamente liberale per modernizzare l’Italia e autenticamente solidale per legare a questa modernizzazione i territori e i bisogni delle persone? Ci riuscirà mai questa classe dirigente, sia essa al Governo o all’opposizione o nelle piazze? Dubito.
Al fondo della riflessione sui girotondi e sul loro crepuscolo c’è il drammatico problema della selezione della classe dirigente che oggi passa per cooptazioni e non ha alcuna capacità rappresentativa (vedi “Per ridare speranza alla politica” del 25/02/2008 su benecomune.net). Per questo credo che al tempo della riflessione, che con gli amici di bene comune.net stiamo portando avanti, dovrà seguire una stagione di impegno, con formule organizzative territoriali innovative radicate su momenti formativi, cui sono chiamati tutti coloro che hanno davvero a cuore il bene comune.