Le donne attualmente presenti alla Camera dei deputati sono infatti il 28,4% del totale dei rappresentati ed al Senato il 27% facendo così passare il nostro Paese dal 63° al 34° posto nella classifica mondiale della donne presenti negli organi rappresentativi stilata periodicamente dall’Ipu (Interparlamentary Union). Si tratta di una novità di non poco conto, in particolare se si guarda alla presenza femminile in Parlamento nelle passate legislature. Nella XVI legislatura, infatti, le donne presenti nella Camera dei deputati erano in tutto 136 e al Senato 61, quindi, rispettivamente, il 21,6% e il 19% del totale dei rappresentanti, dato quest’ultimo che aveva già rappresentato una limitata conquista rispetto al passato. Nelle altre legislature si registrava infatti una presenza femminile anche notevolmente inferiore: nella XII legislatura le donne sono circa il 12% del totale dei parlamentari; nella XIII e nella XIV legislatura la presenza femminile si attesta attorno al 10% circa per poi tornare a registrare un lieve aumento nella XV legislatura con 109 donne presenti alla Camera e 45 al Senato, dunque rispettivamente il 17,3% e il 14% dei rappresentati.
Alla novità segnalata ha tuttavia contribuito esclusivamente la scelta operata dai principali partiti di candidare, anche attraverso le cosiddette “primarie” – con le quali in molti casi nelle ultime elezioni si è provveduto alla selezione delle candidature – un numero all’incirca pari di donne e di uomini, in assenza cioè di qualunque previsione in materia di parità di genere nella legge elettorale attualmente vigente per Camera e Senato.
Tutto quanto evidenziato induce allora a ritenere che, se certamente ci sono segnali di un cambiamento in atto e che il tema della parità di accesso alle cariche elettive è attualmente oggetto di una crescente attenzione nel nostro Paese, tuttavia resta evidente il ritardo dell’Italia in questo settore rispetto alla maggior parte dei Paesi occidentali. Le ragioni di tale ritardo possono essere certamente ascritte a fattori numerosi e diversi ma ad essi si accompagna anche l’assenza di norme antidiscriminatorie nella legislazione elettorale per Camera e Senato attualmente vigente; di norme cioè che contribuiscano ad eliminare gli ostacoli che hanno fino ad oggi impedito alle donne di essere candidate e di venire eventualmente elette.
In effetti, è necessario segnalare che mentre per le elezioni regionali già da tempo le singole Regioni hanno provveduto – pur se con strumenti non sempre incisivi – ad introdurre norme antidiscriminatorie volte a favorire le candidature femminili e che, nel 2012, è stata prevista la doppia preferenza di genere per le elezioni nei comuni ( l. n. 215 del 2012 ), nulla è disposto invece nella attuale legge elettorale n. 270 del 2005 in materia di parità di accesso alle cariche elettive; legge con la quale, come è noto, si sono svolte le elezioni per il rinnovo del Parlamento il 24 e 25 febbraio 2013. Ciò pur non essendo mancati, già nella trascorsa legislatura, tentativi, rivelatisi di fatto infruttuosi, di giungere in tempi rapidi ad una modifica del “Porcellum”.
In realtà, già all’epoca del dibattito parlamentare per l’approvazione della legge n. 270 del 2005 non mancarono emendamenti volti ad introdurre un limite alle candidature di un sesso rispetto ad un altro, ma tali emendamenti vennero tutti respinti determinando così quell’ “assordante silenzio” (cfr. M. Raveraira, federalismi.it, 3/2010) che in materia di pari opportunità deve essere oggi segnalato con riferimento alla legislazione elettorale per Camera e Senato. Il problema della modifica della attuale legge elettorale si è ovviamente riproposto dopo i risultati elettorali e la difficile formazione del governo Letta.
La strada per l’approvazione di una nuova legge elettorale, ovvero anche quella per apportare solo alcuni limitati “ritocchi” all’attuale “Porcellum”, appare tuttavia costellata da ostacoli, considerando sia le divisioni tra i principali partiti che appoggiano il governo, sia le divisioni presenti anche all’interno di quegli stessi partiti. Sul futuro della legge elettorale pesa inoltre l’incognita della decisione della Corte costituzionale, attesa per il prossimo 3 dicembre, chiamata infatti a giudicare sulle due questioni sollevate nell’ordinanza della Cassazione e cioè l’assenza di una soglia per il premio di maggioranza e le liste bloccate lunghe senza preferenze nella legge n. 270/2005. Difficile dire quindi con quale legge elettorale si andrà al voto, se ciò avverrà prima del termine naturale della legislatura, e se, per quell’epoca, saranno state introdotte o meno modifiche volte a favorire la presenza femminile nelle candidature. Ovvero se ancora una volta, come è accaduto per le passate elezioni, la scelta circa la presenza di un certo numero di donne sarà ancora tutta demandata esclusivamente alla volontà o, se si preferisce, alla “buona volontà”, delle segreterie di partito.
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