Qualche giorno prima anche le parole del Presidente della CEI, Angelo Bagnasco, hanno avuto il merito di rilanciare positivamente le iniziative per l’unità d’Italia come “un tesoro per tutti”, isolando in questo modo le posizioni della Lega che per bocca dei suoi ministri – da Bossi a Calderoli – vedono nel prossimo giubileo una “ricorrenza inutile”.
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Insieme alla significativa presa di posizione dei vescovi italiani sono da sottolineare altre importanti dichiarazioni di vari leader politici come Casini – che ha annunciato la nascita di un “Partito della nazione” entro il 2010 – e Fini, che ha lanciato i circoli di “generazione Italia” in varie città. Anche l’ex presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, promotore della fondazione “Italia Futura”, ha bacchettato l’uscita di Calderoli ritenendola tutt’altro che una “provocazione pittoresca”.
A ben guardare ciò che forse con troppo ritardo sta finalmente emergendo è un ampio arco di forze politiche che si riconoscono nell’unità nazionale e che possono contare sul contributo esplicito della Chiesa e dei cattolici impegnati in politica. Un processo di riconciliazione nazionale potrà avvenire soltanto se dal conflitto ermeneutico sulle ambiguità del passato si passerà a condividere le ragioni più forti dell’unità nazionale e del futuro di tutti.
Abbiamo davanti a noi un tempo prezioso per elaborare culturalmente la rimozione collettiva che ancora oggi circonda la data di nascita dello Stato unitario.
Basterebbe domandarsi perché il 17 marzo non sia ancora una festa nazionale per dimostrare in maniera incontrovertibile che alla radice dell’unità d’Italia c’è una rimozione nazionale che sopravvive a noi stessi. Sul calendario delle annuali feste nazionali è segnato sia il 25 aprile (la Liberazione) sia il 2 giugno (festa della Repubblica), ma – guarda caso! – non figura il 17 marzo, ossia la ricorrenza del nostro compleanno come cittadini italiani. E’ questa la stranezza e l’anomalia che potremo lasciarci alle spalle soltanto quando le forze politiche che sono in Parlamento troveranno il coraggio e la condivisione per decidere che tale giorno diventi ogni anno festa nazionale.
È vero che quando il re Vittorio Emanuele II proclamò il regno di Italia il 17 marzo1861 il nuovo Stato unitario era ancora senza Roma (Stato pontificio) e Venezia, venduta agli Austriaci con il trattato di Campoformio (1797). Bisognerà attendere il 1866 per il Veneto e il 1870 per Roma, mentre soltanto con la prima guerra mondiale si re-includeranno Trento (la Venezia Tridentina) e Trieste (la Venezia Giulia).
L’Italia appare ancora oggi alle prese con profonde trasformazioni che interessano la nostra stessa identità di “popolo”, di “nazione” e di “patria”. Oltre alla nuova legge sulla cittadinanza si discute se sia opportuno aprirsi al federalismo senza tuttavia compromettere la coesione sociale. Ciò che tuttavia più ci rattrista di più è l’assoluta mancanza di spirito risorgimentale. Non è questione di pessimismo o di ottimismo. La verità è che l’unità nazionale, per ragioni storiche, non è mai stata desiderata e voluta da tutti coloro che vivono sul territorio italiano per nascita o per scelta.
Ecco perché lo spirito di un nuovo e terzo Risorgimento sarebbe veramente il più auspicabile per dare un rinnovato impulso alla rinascita del Paese.