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In tempi di ossessione per una cronaca boccaccesca e voyeuristica, Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, con sobrietà esemplare di cui sentivamo la mancanza, con la pacata decisione di un tratto di rasoio ha indicato l’urgenza di una via da percorrere: superare l’«enfasi apocalittica della notizia politica» ed elaborare una «visione» capace di abbracciare il mondo di oggi al di là dei confini, senza rinnegare ed anzi valorizzando un intero patrimonio di punti di riferimento anche tipicamente italiani.

Questa visione non può maturare in seno a una classe politica che non appare culturalmente attrezzata – né a “destra” né a “sinistra” – per fare un passo a lato di una cronaca quasi sempre volgare: «chi ha gestito la Seconda Repubblica non può rilanciare il Paese».
E non si tratta solo, anzi, non si tratta tanto di Berlusconi, ma di tutto un sistema: se questo coesiste con una “anomalia”, ciò accade perché è divenuto compatibile con essa. Questo non significa auspicare una velleitaria politica dei sogni: il sogno ispira e nutre l’azione quando diventa elaborata visione del reale; poi, per agire fedeli alla visione, c’è bisogno di competenze, umile fatica, spesso perseveranza nell’ombra. Ha ragione, in questo, chi dice che oggi c’è bisogno di contabili e amministratori e non di venditori di sogni.
Un paio d’esempi di (in)capacità di visione? Ripeterò cose già scritte da altri, ma quando si tratta di fare esempi forse repetita iuvant.
Se per lo sviluppo di un settore che si consideri trainante dell’economia quale quello edilizio la politica elabora un “piano casa” pensato come ulteriore cementificazione ad oltranza del territorio, allora sono terribilmente chiare l’incapacità di visione, programmazione, gestione, nonché la conseguente incoerenza di strategie. L’incapacità (ma anche la malafede e la posizione prona a fortissime perché ricchissime – anche di “nero” – lobbies d’interesse), perché anche quando si convenga che il settore sia strategico, la vera decisione politica innovativa ed espressiva di una moderna e sostenibile visione d’insieme sarebbe quella – come ha scritto Leonardo Becchetti da queste pagine online – di intervenire su tutto il patrimonio immobiliare esistente per migliorarne l’efficienza energetica, e quando necessario riconvertirlo radicalmente in questa direzione. Un massiccio investimento non in ossequio a sogni da talebani della vergine madre natura (risibile ossimoro), ma come mezzo di promozione ed utilizzo di tecnologie nuove e sostenibili, di risparmio economico, di sviluppo collettivo non solo economico ma anche di modelli di convivenza sociale (e modelli da considerare, anche se non da imitare tal quali, non mancano: solo per fare un esempio non ignoto anche in Italia, si pensi al quartiere Vauban di Friburgo in Brisgovia, Germania sudoccidentale).
Stesso discorso per il settore auto: si prende atto di scelte industriali senza conoscerne il reale contenuto e la relativa sostenibilità, invece di indirizzarle con una consapevole presa d’atto – quale scelta non industriale, ma di politica industriale – della realtà globale: si veda (e si legga in trasparenza) la segnalazione dell’eccesso di capacità produttiva, anche nei paesi emergenti, contenuto in un documento non sospetto di indulgere a nostalgie dirigiste (Kpmg’s Global Automotive Executive Survey. Creating a future roadmap for the automotive industry, 2011, pagg. 2, 11, 23, 24-26: «The problem of overcapacity also seems to be affecting emerging markets, with China and India both expected to be overbuilt within the next five years»).
Le malattie del capitalismo finanziario, del resto, non stanno (soltanto) nella sete di denaro di pochi squali liberi in un mare altrimenti sgombro e pulito, come si vuol far credere, ma nascono anche dalle provviste indebite di disponibilità create da sovrapproduzione nell’economia reale. In questa prospettiva, è mistificante e fuorviante chiedere (ennesime) nuove regole e sanzioni (apparentemente) più severe per gli individui: servirebbero a sviare l’attenzione dalle distorsioni del sistema, innescando fra l’altro una primitiva logica del capro espiatorio.

Dall’incapacità di visione risultano, si accennava, anche scelte politicamente incoerenti: se da un lato si va declamando che il futuro dell’economia sta nelle nuove tecnologie, dall’altro si pensa lo sviluppo come cemento-mattone-petrolio-benzina e carrozzerie. Ma una classe politica nata cresciuta e ingrassata negli anni delle illusioni di sviluppo industriale senza limiti e senza responsabilità per le “generazioni future” non può essere in grado di comprendere nulla di tutto questo, salvo orecchiare qua e là quel che serve da rivendere per fini di propaganda.

Infine, queste condizioni offrono terreno fecondo per conflitti istituzionali: una classe politica screditata, arrogante, proclive all’illegalità propria e alla tolleranza selettiva dell’illegalità diffusa a vari livelli stratigrafici nella società (salvo far la voce grossa con i reietti), stimolerà a sua volta illusorie tentazioni moralizzanti di altri poteri, produttive non di nuova legalità e moralità, né di visioni di lungo periodo, ma d’ulteriori storture in una spirale pressoché inarrestabile di declino della convivenza civile.

Che le parole di Riccardi siano un seme è certo; cerchiamo tutti di far sì che il suolo dove cadono sia terra adatta.

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