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Il 20 e 21 Novembre il ministero della Giustizia ha organizzato, assieme all’Alto Commissario anticorruzione e all’OCSE, una conferenza internazionale per celebrare il decimo anniversario dell’adozione della Convenzione OCSE per la lotta alla corruzione dei pubblici funzionari stranieri nelle transazioni commerciali internazionali.

La presenza e gli interventi di importanti rappresentanti del governo come Prodi, Mastella, e Maritati, hanno mandato un segnale positivo ed importante, per fortuna in netto contrasto con quello lanciato con l’indulto di un anno fa (si veda la rigorosa analisi di Mastrobuoni e Barbarino, 2007, che quantifica i danni economici causati al Paese dall’indulto).
            La battaglia contro la corruzione, in Italia e all’estero, è importante oltre che difficile: gli studi più recenti mostrano come essa tenda ad allontanare gli investimenti stranieri, a produrre allocazioni delle risorse e leggi inefficienti e a far specializzare i migliori talenti nazionali in attività di lobby e burocrazia piuttosto che produttive.
Purtroppo sul fronte della corruzione l’Italia rimane sempre il lumicino di coda in Europa, assieme alla Grecia. Le ragioni sono varie, e a parte quelle storiche e culturali su cui è più difficile incidere, vi è certamente:
         Un apparato legislativo farraginoso, oltre che eccessivamente ed inutilmente esteso, che invita ad ‘oliare i cardini’; rammentiamo che l’indicatore Ease of Doing Business Index stilato dalla Banca Mondiale vede un nostro incoraggiante 53° posto (su 178 paesi analizzati) nella classifica generale, subito dopo Botswana e Mongolia;
         Una legislazione assai più morbida, in termini di sanzioni per corruzione e reati analoghi, che in molti altri paesi avanzati, con scarso effetto nel prevenire il crimine e che non fa sufficientemente uso di programmi di clemenza per pentiti, tradizionalmente ad alta efficacia;
         Scarse risorse e pochi controlli seri sull’efficienza della loro allocazione nell’applicazione della legislazione;
         Incapacità di programmazione nella necessità di prigioni che ha poi forzatamente portato al disastroso indulto, e ad un ulteriore riduzione dei già bassi effetti di deterrenza del nostro sistema legale;
         Insufficiente rilevazione di dati sulle transazioni pubblico-privato, epicentro del problema corruzione, essenziali per il monitoraggio e l’identificazione di pratiche inefficienti o corrotte.
 
            Come muoversi allora? A parte l’ovvia necessità di aumentare le sanzioni e ridimensionare ed ammodernare un corpo legislativo che appare studiato apposta per frenare le imprese ed arricchire gli avvocati, è naturale immaginare di coniugare la lotta alla corruzione con la politica degli appalti pubblici. Anche perché il contesto istituzionale in questa direzione è potenzialmente straordinariamente favorevole. E questo per almeno due ordini di motivi:
 
a) la presenza di una stazione appaltante d’avanguardia come Consip, che centralizza gli acquisti della P.A. La Consip è sottoposta al fuoco incrociato dei controlli dell’Antitrust, della Corte dei Conti, dell’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture e del Ministero dell’Economie e delle Finanze: è quindi decisamente meno suscettibile di effettuare pratiche scorrette, che risultano invece di più semplice attuazione per una piccola stazione appaltante meno controllata. La qualità dei capitolati Consip, scritti da personale di alta levatura professionale, possono fungere da utili benchmark per valutare la qualità di un capitolato di altre stazioni appaltanti. I dati che la Consip fornisce al Ministero dell’Economia e quelli rilevati sulla base delle convenzioni Consip dall’Istat costituiscono inoltre un piccolo tesoro informativo che va valorizzato ed ulteriormente incrementato e che può indirizzare rapidamente i controlli a campione nella direzione più efficace. Infine, il Codice Deontologico di Consip, che è una delle poche stazioni appaltanti in Italia ad averne uno, costituisce un modello di riferimento che andrebbe imposto a tutti gli uffici acquisti della PA;
 
b) ancor più importante, la possibilità di rafforzare ulteriormente la nuova Autorità dei Contratti e delle Forniture, anche obbligando, una volta per tutte, le stazioni appaltanti italiane a comunicare in tempo reale, usando la rete, tutti i dati sulle gare (incluse le offerte perdenti) e l’aggiudicazione all’Autorità. Oggigiorno l’Osservatorio dell’Autorità riceve l’informazione con ritardi abissali, quando la riceve. Il Ministro Di Pietro si faccia artefice di una proposta che, in assenza di tale invio, nega la possibilità di dare avvio all’esecuzione del contratto: nel giro di pochi giorni tutte le stazioni appaltanti si saranno adattate e l’Autorità avrà a disposizione una messe di dati con le quali identificare le pratiche corrotte da perseguire con controlli a campione e studi econometrici.
                       
            Con lo stanziamento di qualche milione di euro per una raccolta più organizzata e sistematica dei dati sugli acquisti, la battaglia contro la corruzione negli appalti sarebbe vinta, e nel contempo si avrebbe modo di risparmiare molto di più potendo valutare la performance relativa delle diverse amministrazioni, condizione necessaria per premiare comportamenti virtuosi e penalizare/disincentivare gli sprechi. Per qualche euro in più oggi avremmo un lieto fine in futuro, come nelle favole e nei paesi ben governati.
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