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Non è per amore di compromesso, ma anche la vicenda delle intercettazioni va affrontata con equilibrio che metta da parte soluzioni estreme. All’opposto,si registra la solita e poco seria contesa tra “guelfi” e “ghibellini”.

Proviamo a mettere ordine; sul piano processuale
–         le intercettazioni sono una strumento di indagine penale assolutamente indispensabile, ma non se ne può consentire un uso sostitutivo della normale attività degli inquirenti, sempre meno, tra l’altro, capaci di investigazione probabilmente anche per la “pigrizia” determinata dalla comoda scorciatoia dell’”orecchio elettronico”;
–         le intercettazioni non possono funzionare come strumento di ricerca indiscriminata di notizie criminose, secondo l’immagine, forse abusata, ma efficace, della “rete buttata nel mare”;
–         intercettare equivale comunque ad intromettersi nella sfera intima di una persona: occorre darvi luogo quando davvero non vi sia possibilità alternativa di acquisizione di elementi probatori.
Diverso è il discorso sul rapporto giustizia – informazione, che nel tema in questione fa segnare uno dei momenti più critici; anche in questo caso tentiamo di fare chiarezza:
–         non ci sarebbe bisogno di alcuna nuova normativa se ciascuno dei soggetti coinvolti rispettasse davvero quella attuale;
–         la prevalenza delle fughe di notizie che oggi si verifica è frutto dell’abuso di singoli magistrati, alla ricerca di facile pubblicità, di “ orientamento” militante dell’opinione pubblica, in un circuito vizioso con giornalisti compiacenti;
–         in realtà, sarebbe sufficiente che gli organi di stampa si attenessero al requisito dell’essenzialità della notizia, già previsto dal Codice deontologico dei giornalisti in vigore dal 1998: è indispensabile il testo di un’intercettazione che non attiene direttamente all’indagato? E’ legittimo pubblicare i dati personali di un terzo estraneo alla vicenda dell’indagine? Nella gran parte dei casi verificatisi in questi anni la risposta sarebbe negativa!
E’ evidente che la reazione emotiva ed immotivata sarebbe la soluzione “ proibizionista”: intercettare e pubblicare il meno possibile! Ma ciò non è accettabile; occorre far ricorso alle intercettazioni quale mezzo di completamento istruttorio, ma se ne può rendere pubblico il testo allorché esso serva rendere consapevole il pubblico di una specifica situazione che attenga a fatti o a persone di particolare rilievo sociale.
Mentre si scrive non è ancora noto il disegno di legge governativo; se, tuttavia, si è imboccata la strada della limitazione “ quantitativa” delle intercettazioni, con riguardo al limite di dieci anni della pena dei reati relativi e si è optato per la pena, anche detentiva, per chi divulga, a qualsiasi titolo e con qualsiasi qualifica ( magistrato, cancelliere, avvocato, giornalista) il testo di intercettazioni “secretate”, c’è da essere d’accordo.

rnIn realtà, la posta in gioco è più alta; nel delicato gioco in corso, di riequilibrio dei poteri, pur prendendo le distanze dalla “ casta”, per una volta è da condividere lo sforzo di ridare fiato alla politica. Le sorti di un paese non possono essere più segnate da” indagini pubblicizzate a tempo”: su questo punto sarebbe bello che maggioranza ed opposizione trovassero una convergenza, altrimenti la vera emergenza democratica diventano associazioni di magistrati e corporazioni giornalistiche che commentano e contestano disegni di legge!

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