Le agenzie di stampa hanno annotano di conseguenza che se il neo-premier greco, professor Papademos, è “l’uomo della Merkel”, Berlusconi da par suo non poteva non subire pavidamente il sarcasmo della stessa cancelliera e di Sarkozy prima di essere sostituito dal professor Monti.
Un sarcasmo che il francese pare abbia attinto con profitto più dalla villana commedia dell’arte di Moliere che dall’aulica arte del governo della c.d. grandeur d’oltralpe. Ma tant’è.
In questa sede par utile attingere un insegnamento, et pour case di un francese, Saint-Simon, che costituisce forse il senso di esistenza degli stati moderni: “La legge più importante di tutte è senza dubbio quella che regola il bilancio, poiché il denaro rappresenta per il corpo politico ciò che il sangue è per il corpo umano” (L’industrie).
Una legge tanto importante che lo stesso filosofo, anticipando in questo i tempi odierni, affidava esclusivamente ad un “governo di tecnici”, poiché “Sarà un’epoca felice quella per il genere umano in cui le funzioni dei governanti saranno ridotte al rango di quelle dei sorveglianti nei collegi: i sorveglianti infatti sono incaricati del mantenimento dell’ordine, mentre ai professori è affidata la direzione dei lavori degli allievi. Lo stesso deve accadere nello Stato: gli scienziati (…) devono dirigere i lavori della nazione: i governanti devono curare soltanto che tali lavori non vengano disturbati” (L’Organisateur).
Ecco quindi che i professori Monti e Papademos sono chiamati a “dirigere i lavori della nazione”.
La ricetta pare innocua, persino talmente buona ed efficiente che in questi giorni è stata adottata sia in Grecia che in Italia con una tempistica lontana dal solito pachidermico time del discernimento democratico.
Si dirà che non si poteva fare altrimenti, che la situazione (economica) era grave, che il clima (politico) era infuocato. Ai posteri l’ardua sentenza.
Qui preme invece porre una riflessione di senso.
Il Financial Times di venerdì scorso avvertiva “Leaders needed, not just managers” e dando pur conto della situazione emergenziale, metteva il dito nella piaga democratica affermando “It would be a fatal mistake, however, to presume that in either case a coalition of the old established political elite, led by a technocrat, will provide a miracle fix to deeply rooted problems” e concludendo con una verità talmente banale da essere oggi offuscata: “The new leaders must also recognise that nothing will be achieved without popular support. They could struggle to get reforms through parliament. The answer will be to show real leadership. Managerial competence will simply not suffice”.
Il tecnico non basta, quindi ma risponde almeno delle sue azioni in futuro? Difficile. Almeno non in termini democratici. Se senatore a vita, parrebbe nemmeno in termini giuridici.
Sviluppando il monito del giornale della City verrebbe da dedurre: se non è all’altezza dei “momenti di prova”, richiamati anche ieri sera dal presidente Napolitano, a che serve l’agire democratico rappresentativo? Forse non è proprio nei momenti di crisi che il ceto politico risulta necessario per risolvere questioni che altrimenti i singoli non riuscirebbero nemmeno ad affrontare? Ma se ci si affida proprio in questi tempi al singolo (tecnico), qual è la ragion d’essere delle “guide” in una comunità?
Torna utile ancora Saint-Simon: “Ogni persona che rifletta un istante su questi problemi si persuaderà che finché la società si limita ad ordinare vagamente ai suoi governanti di renderla felice, senza aver fissato prima le sue idee sui mezzi atti a procurarle la felicità, l’arbitrio necessariamente dominerà nel modo più generale ed essenziale, poiché i governanti si troveranno a cumulare la loro naturale funzione di guida della società, secondo una direzione data, con quella, ben altrimenti importante, di determinare la direzione” (L’Organisateur).
Ecco che l’odore del problema pare ormai diffondersi dalle crepe di una soluzione tecnica che può sfociare nell’arbitrio.
Abbozzando qualche spunto conclusivo, la questione di fondo rimane salva solo se si rammenta quanto già Marino Gentile insegnava: “la tecnica non indica, né vuole, né può indicare un vero fine: tutto ciò che essa porta, non può essere scopo che a se stesso, ma soltanto grado e mezzo per raggiungere qualcos’altro (…) e la tecnica non può determinare in che cosa quest’altro consista.” (Umanesimo e tecnica).
In effetti in premessa al lavoro da tecnici di Papademos e Monti vi sono le “scelte” già predefinite in ambito europeo.
Rimane da verificare se l’operato dei due neo-premier si limiterà a questo e quanto legittimati potranno considerarsi in termini democratici i loro eventuali sconfinamenti.
Rimane soprattutto da denunciare il default reale della democrazia rappresentativa nel momento in cui la meta per le carovane (o carrozzoni?) di Grecia e Italia è indicata da (altri) tecnici e non dal popolo italiano e greco.
Ma v’è di più.
Paradossalmente, constatato il fallimento della democrazia in questo tempo di crisi, non rimane alternativa per gli italiani (come per i greci) che confidare negli stessi parlamenti chiamati nei prossimi mesi al già preconizzato ruolo di semplici “controllori” nel decidere, volta per volta e in totale libertà, se e come sostenere le decisioni del tecnico di turno nell’attesa di rispondere di tali scelte alla prossima chiamata alle urne.
In quella sede, e purtroppo solo in termini indiretti, anche i tecnici risponderanno del loro operato.