le istituzione potenzialmente in grado di favorire l’ “incivilimento” si un intera nazione perché permettono alle persone di “trasformarsi” in cittadini. Ed in effetti le autonomie locali rappresentano un ottima palestra non solo per un successivo cursus honorum nelle istituzioni regionali, nazionali o europee, ma anche per la diffusione capillare di quel senso civico da cui dipende la qualità della res publica.
Senso civico che è strettamente legato al concetto di responsabilità: una persona dimostra un elevato senso civico quando si sente direttamente responsabile di ciò che riguarda l’intera collettività, si tratti della strada da mantenere pulita o della complessa decisione di politica estera. In fondo, promuovere il senso civico di una nazione vuole proprio dire fare in modo che un numero crescente di persone sentano in prima persona la responsabilità di ciò che riguarda la cosa pubblica, per il solo fatto di essere “cittadini”, senza cadere nel facile alibi secondo cui se le cose vanno male e solo colpa dei politici di professione.
E quale migliore opportunità dell’assumere una carica pubblica a livello locale per sviluppare questa responsabilità? Il comune è la palestra politica più vicina ai cittadini, quella che offre maggiori chance di essere eletti, quella in cui ci si può cimentare anche senza una lunga esperienza alle spalle, soprattutto nei comuni più piccoli.
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Per dimostrare questa affermazione, è interessante confrontare due realtà con origini storiche simili, ma che hanno scelto articolazioni diverse della governance comunale: Italia e Canton Ticino.
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E’ evidente che maggiore è il numero dei seggi disponibili nei diversi organi comunali, maggiori sono le chance per un cittadino di poter assumere una carica pubblica e, quindi, condividerne la responsabilità.
Se consideriamo i consigli comunali, il Testo unico degli enti locali italiano prevede un numero di componenti del consiglio comunale diversificato a seconda del numero di abitanti: si va dai 12 componenti per i comuni fino a 3’000 abitanti, 16 fino a 10’000 abitanti, 20 fino ai 30’000 abitanti e via dicendo fino ad un massimo di 60 membri per i comuni con più di 1’000’000 di abitanti.
Nel caso del Canton Ticino, la legge cantonale lascia all’autonomia dei singoli comuni anche la definizione del numero di consiglieri, pur all’interno di valori massimi e minimi. Sotto i 300 abitanti, innanzitutto, non è prevista la costituzione di un consiglio comunale, ma sono tutti i cittadini con diritto di voto del comune ad esprimersi in assemblea secondo la logica della democrazia diretta. Sopra i 300 abitanti i comuni possono decidere di ricorre alla democrazia rappresentativa istituendo un consiglio comunale che comunque deve avere un numero di membri compreso tra un minimo di 15 (innalzato a 30 per i comuni con più di 5’000 abitanti) ed un massimo di 60. Certamente, la dimensione media dei comuni è molto più bassa rispetto al caso italiano, visto che la città più grande ha poco più di 55’000 abitanti. Appare chiaro, però, come il numero di seggi rispetto agli abitanti sia di gran lunga più alto nel caso ticinese rispetto all’italiano.
Ciò significa che solo pochissimi cittadini possono dire di non aver mai ricoperto una carica pubblica o, almeno, di non aver avuto nemmeno un parente o un amico che lo ha fatto.
Saranno in pochi, quindi, a poter dire di non aver mai avuto responsabilità politiche in ambito comunale, di non aver avuto la possibilità di risolvere i problemi, di non aver compiuto scelte poi rivelatesi sbagliate. Questo ha un effetto evidente sui toni del dibattito politico, meno orientato allo scontro e più rivolto alla individuazione di soluzioni ai problemi collettivi.
Il secondo aspetto riguarda il ruolo degli organi esecutivi. Anche qui vi sono interessanti differenze tra il caso italiano e quello ticinese. Come sappiamo, in Italia è in vigore un deciso sistema maggioritario secondo il quale il Sindaco ha un pieno potere esecutivo in virtù dell’elezione diretta, tanto da nominare direttamente i componenti della giunta senza nessun passaggio nemmeno per il consiglio comunale. Nel caso ticinese, invece, è l’intero organo esecutivo ad essere votato direttamente dai cittadini secondo un metodo strettamente proporzionale. Ciò significa che in giunta (in Canton Ticino l’organo esecutivo viene detto “Municipio”) non è rappresentata solo la maggioranza vincitrice delle elezioni, ma tutti i principali partiti, senza distinzione tra forze di governo e forze di opposizione.
Ne risulta una situazione in cui tutti i partiti maggiori sono chiamati a condividere direttamente la responsabilità delle scelte esecutive, dovendo necessariamente cercare compromessi anche con gli altri partiti presenti.
Con questo, non si vuole certo dire che l’impostazione ticinese sia migliore rispetto a quella italiana: ad esempio, i tempi delle decisioni si allungano, dovendo necessariamente raccogliere un consenso quasi “bipartisan” in ogni occasione. E’ però utile tener conto di tutti gli effetti che un determinato assetto può generare, per poter compiere valutazioni più consapevoli. E tra questi effetti non possono essere trascurati quelli legati al ruolo che i comuni svolgono nel mantenere vivo quel senso di attaccamento alle istituzioni pubbliche da cui dipende la loro stessa tenuta.