Di certo siamo di fronte ad un mutamento degli assetti del sistema, dovuto per buona parte all’esaurirsi (forse) del modello bipolare che finora ha diretto la vita delle nostre istituzioni democratiche.
Il nostro bipolarismo è in effetti cosa molto lontana dal bipolarismo maggioritario di altri grandi Stati occidentali. Attraverso questo modello spurio e mai compiuto, il Paese è stato pressoché consegnato all’ingovernabilità; ciò risulta evidente se si guarda non solo alla durata dei governi e delle legislature (cosa fin troppo ingenua e formalistica). Ma se si volge lo sguardo alla sostanza delle cose, vuoi per via di pessime leggi elettorali, vuoi per un bipolarismo immaturo non nelle regole ma nelle azioni concrete degli attori in campo, non si è riusciti, dalla fine della cosiddetta prima repubblica ad oggi, a fare quelle tre o quattro cose essenziali che avrebbero garantito all’Italia di fronteggiare l’oramai dilagante competizione internazionale.
Siamo di fronte ad un Paese che strutturalmente arranca, ingessato da più punti di vista e, se si continua in questa fase di insopportabile transizione, anche condannato ad un lento e facilmente intuibile declino. Ovviamente non vorremmo in nessun modo esser profeti di sventura, ma vista la tristezza dei tempi forse non siamo troppo lontani dal cogliere nel segno.
In un intelligente fondo comparso su La Repubblica di domenica 9 dicembre Ilvo Diamanti, con la solita franchezza, metteva in evidenza come il bipolarismo all’italiana sia stato finora sostanzialmente un “bipersonalismo”, ovvero un sistema che si è retto su due forti personalità che, in modo diverso, sono riuscite a coalizzare due fronti contrapposti, incapaci di parlarsi e di riconoscersi vicendevolmente. Prodi, per un verso, è riuscito a far della debolezza e della frammentazione del centro-sinistra la sua forza (pena però l’emersione di tutte le difficoltà di governo di cui siamo quotidianamente informati); Berlusconi, per altro verso, capace di organizzare un fronte attorno alla sua creatura politica (“sua” in tutti i sensi, talmente tanto che ne ha annunciato la morte in poche ore, salvo poi ricredersi in parte). Ma adesso con la nascita del PD e del nuovo Partito delle libertà i giochi si complicano. Questi nuovi soggetti, che raccolgono insieme più dei due terzi dell’elettorato, nascono con vocazione maggioritaria ma pare abbiano anche tutta l’intenzione di non dare troppo campo libero ai partiti minori, che invece finora hanno potuto esercitare non senza compiacimento diversi poteri di veto. La partita però non sembra chiusa, anzi si è messa in moto una dinamica, i cui esiti nessuno può prevedere, che sta portando anche nel centro-destra ad una messa in discussione della leadership. Quindi, messo da parte Prodi a favore di Veltroni per il prossimo giro elettorale, il fronte opposto pare avanzare la stessa pretesa (le frizioni di queste settimane tra i partiti lo dimostrano).
Dunque, come sostiene Diamanti fine del “bipolarismo bipersonale”? Difficile a dirsi, molto dipenderà dalla verifica di governo di fine gennaio, e dal tipo di legge elettorale che si delineerà. Certo è che l’idea di un “bipolarismo flessibile” (aperto a grandi coalizioni e rimpasti vari), esito quasi scontato di una legge elettorale che non indichi fin da subito il vincolo di coalizione, ci lascia molto perplessi. A guardare lo scenario desolante delle ultime vicende di Palazzo, l’Italia non sembra manifestare la maturità della Germania né la sua capacità di coesione interna; piuttosto pare aprirsi lo spiraglio per vecchie logiche trasformistiche, che inevitabilmente attiveranno tentazioni di “pendolarismo” per i piccoli partiti che stanno al centro dell’emiciclo. A scapito ancora una volta delle scelte degli elettori e della tanto sperata governabilità.