In cui Di Pietro ha preso il posto di Diliberto e di Bertinotti e Veltroni e’ stato costretto a abbandonare il disegno lungimirante di un bipolarismo civile, rispettoso e lontano dalla reciproca delegittimazione che aveva caratterizzato le ultime tre legislature.
Berlusconi sembra aver abbandonato lo "stile Letta" del suo saggio discorso di inaugurazione della legislatura e, per motivi che sarebbe semplicistico attribuire alla sua sola responsabilita’, ha lanciato una offensiva di ridimensionamento del potere giudiziario.
Di fronte alla determinazione del premier a regolare i conti con la "magistratura politicizzata" c’e’ un’opposizione divisa, con D’Alema che dal Csm ha ricevuto lo schiaffo della assoluzione della Forleo (che sul caso Unipol era sembrata travalicare i limiti delotere giudiziario) e Di Pietro che lucra il vantaggio competitivo della assenza di una minoranza radicale in Parlamento per vestire i panni di Danton e del suo "terrore giustizialista".
In questo quadro Veltroni assomiglia a "re travicello". Vorrebbe sottrarsi all’abbraccio giustizialista di Di Pietro ma in fondo rischia di subirlo.
L’istinto antiberlusconiano dell’elettorato di sinistra e’ eccitato dalle iniziative "ad personam" del Cavaliere.
Scalfari guida dalle pagine grondanti odio e livore di "Repubblica"il fronte del moralismo politico.
Come ha ricordato il Direttore del Riformista Polito un vizietto da cui non riusciamo a uscire e’ l’abitudine alla condanna morale. Una abitudine che consegna regolarmente alla magistratura il compito dirisolvere l’impotenza della politica.
E’ accaduto quando i magistrati hanno cancellato quasi tutti i partiti italiani (dalla DC al PSI) eccetto l’eterno perdente delle elezioni dal 1948 (il PCI).
E’ qualcuno vorrebbe che riaccadesse oggi affidando alla magistratura il compito di liberare l’Italia dalremier scelto democraticamente dagli elettori. E’ una deriva pericolosa. Più pericolosa dei rischi che fa correre alla democrazia l’appovazione di leggi che possono minare lo Stato di diritto.
E dove sta in questo contesto il bene comune?
Secondo la celebre definizione di Maritain il bene comune e’ la vita umana buona della moltidudine.
E questa rettidudine morale di massa, di cui il nostro Paese ha tanto bisogno per uscire dai gravi problemi che lo attanagliano, troverebbe grande giovamento da una riduzione del tasso di odio e di contrapposizione che caratterizza una parte della classe politica e rischia di trascinare tutti in una moralistica lotta di classe fuori dal tempo.
Lo scontro sulla giustizia ha dilapidato il patrimonio accumulato nei primi passi della legislatura e nel rapporto di dialogo e mutuo riconoscimento tra Veltroni e Berlusconi.
Occorre mettere da parte i vari Danton e ridare alla politica la misura alta della ricerca del bene comune.
Il Capo dello Stato sta gia’ svolgendo e puo’ in futuro svolgere un ruolo prezioso per far tornare il clima costruttivo di dialogo, premessa indispensabile per la costruzione del bene comune.