Non a caso se ne parlerà in un seminario che si svolgerà il 22 gennaio prossimo alla Facoltà di Scienze politiche all’Università di Padova (aula P, via del Santo 26, ore 16,30): infatti, conducendo l’attenzione della classe dirigente del nostro Paese a soffermarsi sul pensiero socio-economico di Romani, non si intende in primo luogo riconoscere il ruolo storico che questi ha svolto, a partire dal 1950, nel favorire un effettivo superamento di una concezione ottocentesca del movimento sindacale italiano, attraverso la promozione di un sindacato associativo e confederale, democratico e indipendente dai partiti. Piuttosto, si propone soprattutto di approfondire un aspetto della sua eredità culturale: il richiamo ad una coerente declinazione culturale e operativa dell’esperienza associativa del sindacato nello sviluppo economico e democratico dell’Italia in trasformazione, che ci consente di osservare le relazioni industriali e, più in generale, il nostro presente socio-politico con una chiave interpretativa sempre innovatrice e capace di introdurre ad originali prospettive d’intervento.
Tutto il movimento sindacale è chiamato oggi a una comune riflessione sulla cultura “romaniana” per maturare la consapevolezza del dispiegamento della natura associativa del movimento sindacale a sostegno dello sviluppo civile e democratico della società contemporanea.
Salario e produttività; sviluppo industriale ed emancipazione dei lavoratori; responsabilità sociale e sviluppo civile del paese; democrazia politica e partecipazione socio-economica; riconoscimento degli attori sociali e rispetto dei ruoli dei partiti e delle parti sociali; sono stati tutti questi temi che Romani ha coniugato insieme introducendoli nelle relazioni industriali italiane, attraverso l’esperienza della CISL, negli anni Cinquanta e Sessanta. Nei giorni scorsi, sentire richiamare i nessi che legano tali aspetti delle relazioni della realtà del lavoro, contro le tentazioni antagoniste di una ideologica sinistra radicale, da parte del ministro del Lavoro Damiano, già sindacalista di una CGIL a lungo oppostasi nella storia italiana a collegare tra loro tali questioni, fa riflettere sulla forza di una corretta interpretazione della realtà. A patto che la società civile organizzata, cui fa parte il movimento sindacale, sappia affermare le proprie ragioni e dispiegare tutto il potenziale della sua natura associativa e solidale.