Questi presupposti non possono essere trascurati quando si riflette sulla condizione del lavoro contemporaneo. Infatti, a partire dalla società industriale, l’incidenza del sistema extra-negoziale di diritti e di garanzie a favore della parte più debole è sempre stata molto accentuata.E ciò per almeno due ragioni.
In primo luogo, perché i contenuti del negozio sono di natura, per così dire, particolare: il tempo di vita, il valore di un set di competenze apprese ed attese per l’esercizio di una funzione sociale, la mansione effettivamente esercitata entro una organizzazione, continuano a costituire validi indicatori dell’avvenuta integrazione dell’individuum nell’ambito della vita sociale. Anche per questo, il sociologo continua ad insistere: l’individuo diventa persona soltanto attraverso le espressioni di un tutto che è sempre differente dalla somma – o dalla composizione – delle parti. Del resto, in età attiva, se non si possiede un contratto di lavoro l’unica constatazione che rimane da fare è un +1 nella categoria del sommerso, della disoccupazione o dell’inoccupazione, ovvero una situazione di mancata integrazione. E quest’ultima – nel lungo periodo – configura sempre di più una fuoriuscita dai crismi della cittadinanza.
In secondo luogo, possiamo affermare che l’incidenza di questi fattori extra-negoziali è stata intensa perché, nell’esercizio delle prerogative interne all’esecuzione del contratto, il tutto, per il tramite delle parti, ha espresso la necessità di rendere indisponibili al lavoratore una serie di situazioni derivanti dalla natura gerarchica e subordinata delle relazioni poste in essere: il lavoratore non può negoziare i termini delle proprie libertà e dei propri diritti fondamentali, perché tali regole, superando il contingente, esprimono i limiti morali che la società impone ai membri che la compongono. Non esistono situazioni economiche per le quali sembra opportuno accettare trattamenti in peius della dignità umana. Tradotto al di là del diritto: inutile pensare alla Cina o all’India, quando vicino si hanno la Germania e la Francia.
Gli esempi efficaci potrebbero essere molti. E tuttavia sembrerebbe ancora rischioso e/o noioso fornire un elenco del sistema delle fonti di diritto, a partire da quelle costituzionali, e delle norme inderogabili che pre-esistono la stipula ed accompagnano la durata di un singolo contratto di lavoro, sia esso individuale o collettivo. Perchè, in realtà, in molti oggi – soprattutto lavoratori – potrebbero considerarmi un pò «fuori fase». Il che evidenzia la natura essenzialmente culturale delle questioni che propongo. Gli scenari sono molti e la cifra è spesso simile: l’esigibilità di molti diritti fondamentali, di fronte alla nuda libertà dell’utile e al quotidiano contingente, perde il suo valore culturale, la sua autorità. È «aria fritta», di fronte alla «selezione naturale» in atto! In effetti, c’è un elemento sostanziale per cui sembra opportuno accogliere la critica che spesso proviene dal senso comune. Ipso facto, in forza della moltiplicazione delle tipologie di instaurazione del rapporto di lavoro, la perdita di effettività degli elementi extra-negoziali del contratto è il processo che da tempo possiamo osservare in molti ambiti. Come affettuosa dote per le generazioni future, l’analisi unilaterale dei costi e dei benefici è apparsa, sempre più, come il metro di tutte le progettualità comuni. Con l’effetto conclamato di una rapida corsa verso una struttura piramidale della società.
Occorre appena ricordare: la disgregazione irresponsabile del diritto del lavoro pre-esiste di molto la crisi, accentuandola proprio nelle sue conseguenze morali. Io sono ancora giovane e, per quanto possibile – a mente lucida – sento forte il bisogno di affermare una cosa. Senza una assunzione di consapevolezza, ovvero senza una sana critica della disgregazione degli elementi extra-negoziali del contratto di lavoro, il cittadino è destinato a ritornare ben presto un individuum, caricando soltanto sulle proprie spalle il peso, la responsabilità e gli oneri della propria condizione.
Ma, una condizione – è bene precisare – non è necessariamente il frutto di una scelta, di un contenuto di volizione. Esistono sempre molte componenti che la determinano. Tra queste, bisogna altresì ricordare che il tutto – per lo più, incapace di intendere e di volere il senso del bene comune – ha smesso da tempo di pensare al futuro dei propri figli, continuando a produrre e a diffondere una strana forma di anomia: l’azzeramento del contenuto morale e dell’autorità del diritto nell’abbondanza – e a volte nell’eccesso – delle norme disponibili.