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“La paura dei barbari e’ cio’ che rischia di renderci barbari” Tzvetan Todorov (La paura dei barbari, Garzanti, 2009).
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rnIl decreto sicurezza recentemente approvato dal parlamento ritrae fedelmente un paese intrappolato dalla paura come sostiene il famoso intellettuale bulgaro, ma soprattutto un paese miope governato da una classe dirigente incapace di perseguire interessi di lungo periodo.

Un decreto che asseconda gli istinti più bassi degli individui in un processo di “regressione identitaria” che non solo appare contro la storia e la cultura solidale del nostro paese, ma che rischia di rivelarsi anche contrario all’interesse economico e alla qualità della vita di molti italiani.

Da anni i rapporti annuali sullo stato dell’immigrazione mostrano come l’economia italiana non possa fare a meno degli immigrati ormai essenziali in molti settori industriali ed in particolare nelle aree più produttive del paese.  Oltre ad attenuare gli squilibri demografici ed il tasso di dipendenza (il rapporto tra popolazione con 65 anni e popolazione in età di lavoro) di un paese che invecchia (nel rapporto annuale di Banca di Italia, si stima che l’immigrazione abbassi di circa due punti percentuali questo rapporto), sembra sempre più confermata l’idea di una generale complementarità dei lavoratori stranieri con gran parte della popolazione italiana (tendenza peraltro simile a quella già registrata in altri paesi avanzati come Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania). Sempre in base ai dati presentati nell’ultima relazione annuale della Banca di Italia si registrerebbe una lievissima flessione dei salari dovuta all’aumento dell’immigrazione solo nelle categorie occupazionali meno qualificate, mentre, in generale, nelle regioni con una maggiore presenza straniera si osserva un effetto particolarmente positivo sull’offerta di lavoro femminile e sulle prospettive occupazionali della popolazione italiana più qualificata. Vivere in aree con una maggiore densità di immigrati (ceteris paribus) e’ chiaramente associato ad una minore percentuale di donne che si dichiarano casalinghe e ad un aumento delle donne che scelgono il part-time come soluzione alternativa al lavoro domestico. E l’effetto è significativamente piu’ forte per le donne più qualificate. Dall’analisi dell’indagine sulle forze di lavoro nel triennio (2006-2008) emerge come la presenza degli immigrati abbia un impatto determinante sulla qualità della vita e sulle opportunità lavorative degli italiani. Innanzitutto vi si trova conferma del fatto che gli immigrati tendono a coprire un tipo di domanda di lavoro scomodo (il 21% della popolazione straniera occupata lavora di domenica, il 23% di sera (dalle 20 alle 23), il 14% svolge orari notturni (tra le 23 e le 6 di mattina). Molti di questi dati sono determinati dalle badanti e dalle collaboratrici domestiche, ma non solo, anche limitando l’analisi alla popolazione straniera maschile occupata nell’industria o nei servizi vi e’ evidenza di una maggiore propensione a coprire orari di lavoro disagiato rispetto alla popolazione italiana. Inoltre, la maggiore presenza di immigrati in alcune province e’ chiaramente associata ad una minore probabilità degli italiani di lavorare in orari o giorni scomodi e dunque ad un significativo miglioramento della qualità lavorativa della popolazione nativa.

I dati sembrano rivelare come la paura dell’altro oltre a renderci eticamente barbari -letteralmente ‘balbuzienti’, cioe’ incapaci di proclamare senza ipocrisia quell’ accoglienza fraterna che e’ al cuore dell’identità giudaico-cristiana, troppo spesso invocata vanamente- rischia di peggiorare la qualità della vita e ridurre drasticamente le opportunità imprenditoriali e lavorative di molti italiani.

Come ha recentemente ribadito il cardinal Tettamanzi “la paura non è la consigliera più saggia per affrontare il problema nella sua ampiezza e nella sua profondità” e la statistica non fa che rafforzare questo ammonimento.

Se la politica fosse intellettualmente onesta e responsabilmente lungimirante affronterebbe la paura con la forza dei dati, anche alla luce delle esperienze di paesi che da anni fronteggiano questo problema. Invece di inseguire ed alimentare il sentimento di insicurezza diffuso nelle persone, la classe dirigente di questo paese dovrebbe scommettere sull’immigrazione e creare gli incentivi e le regole perchè gli stessi immigrati scommettano sull’Italia come terra di opportunità  e non di razzie, guidando gli italiani verso una più completa e fondata comprensione del fenomeno.

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