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L’8 novembre dell’anno 2000 viene approvata la legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. Il 13 novembre dello stesso anno la 328/2000 vede la luce in Gazzetta Ufficiale. Erano trascorsi 110 anni dalla legge Crispi (legge n.6972/1890) e mai nessun Parlamento e nessun Governo erano riusciti ad indicare con legge le norme dentro le quali si dovessero svolgere i servizi alle persone.

Negli ultimi decenni si era tentato, ma con esiti negativi, di dare risposte ai cittadini e agli operatori che ne sentivano l’esigenza. Ci hanno pensato le Regioni, in virtù dei poteri e delle competenze che lo Stato, dopo il 1970, aveva loro trasferito, a “limitare i danni” emanando leggi di riordino dei servizi sociali. Mancava però una legge quadro che ‘disegnasse’ la cornice dentro cui fossero scritte norme e regole per restituire dignità e autorevolezza al settore degli interventi e dei servizi sociali. L’impalcatura della legge è apparsa innovativa e rispondeva all’esigenza di superare l’assistenzialismo con cui si provvedeva ai diversi bisogni dei cittadini. Gli operatori e gli assistenti sociali uscivano dalla condizione di subalternità e di residualità in cui erano relegate le loro prestazioni professionali. La legge 328 ha immesso a pieno titolo il servizio sociale nell’ambito più ampio delle politiche sociali che comprendevano, in particolare, le politiche attive del lavoro, il sistema pensionistico e il sistema sanitario. L’integrazione del sistema dei servizi fu la cifra caratterizzante apportata dalla legge, insieme al riconoscimento delle competenze istituzionali degli enti territoriali e locali, e al protagonismo della società civile (terzo settore, cooperazione, associazionismo) nella piena attuazione della “sussidiarietà”. Cominciavano a delinearsi le condizioni per l’avvio di un sistema di welfare territoriale e societario. I servizi di prossimità che ne scaturivano creavano e rafforzavano la cultura del bene comune coinvolgendo nell’impresa, con modalità e ruoli differenti, tutti i cittadini responsabili. Il bene comune non era dunque la semplice sommatoria dei ‘piccoli’ e ‘particolari’ beni singoli e individuali, bensì l’impegno partecipato, consapevole, solidale e sussidiario delle componenti della società. In questi dieci anni, grazie anche alla legge 328 e alla condivisione generale con cui è stata accompagnata, si sono sviluppate prassi sociali tese a rafforzare la solidarietà e la democrazia.
Purtroppo le scelte compiute dai governi negli anni successivi, fino ad oggi, non si sono distinte per la coerenza degli atti e dei Decreti attuativi. Anzi, con motivazioni diverse (e contraddittorie), hanno proclamato a parole quello che non attuavano con gli atti ufficiali. 
Le competenze erano state trasferite alle Regioni e agli Enti territoriali mentre allo Stato erano rimaste particolarmente due prerogative, il cui esercizio avrebbe consentito alle Regioni e agli altri soggetti di operare salvaguardando l’unità nazionale e garantendo il sereno svolgimento delle loro competenze. Al primo avrebbe provveduto la definizione dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), al secondo il trasferimento delle risorse economiche concentrate nel Fondo Sociale appositamente costituito dalla legge. Dopo 10 anni si attende ancora che siano fissati i LEA. Per quanto attiene al Fondo si è assistito negli anni a un graduale e continuo prosciugamento delle risorse destinate al Fondo stesso, fino allo scandalo della quota erogata per il 2011 dalla ‘legge di stabilità’: appena 75 milioni di euro dal miliardo iniziale dell’anno 2000! Appare evidente la scarsissima attenzione che il governo rivolge a ciò che costituisce il sistema solidale necessario per il benessere dei cittadini, per la coesione sociale e, in ultima analisi, per il mantenimento e la crescita della democrazia. Come se non bastasse in questi giorni è stato annunziato il forte ridimensionamento delle somme provenienti dal 5‰, divenute l’1,25‰, e destinate agli organismi di società civile per le attività che svolgono in favore dei cittadini svantaggiati: da 400 a 100 milioni!
Si tratta dell’ennesimo colpo inferto al settore del non profit che, come sostiene il portavoce del Forum del Terzo Settore Andrea Olivero, rischia di cancellare un comparto riconosciuto indispensabile per la creazione del nuovo modello di welfare. Sono trascorsi 10 anni e sembra essere ritornati a 100 anni indietro. Ma il cammino fatto non può essere annullato e, ne siamo sicuri, verranno tempi migliori ‘abitati’ da uomini lungimiranti che nessuna crisi economica potrà spegnerne il cuore solidale, così come nessuna ideologia angusta ed egoistica potrà impedire che si adoperino generosamente per l’implementazione del bene comune. Non sarebbe male una mobilitazione generale!
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