In termini di ore autorizzate di Cassa integrazione, ordinaria e straordinaria, nel periodo gennaio-novembre 2009, si è registrato, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, un aumento del 325%. La gravità della crisi in corso impone un ripensamento delle strategie di politiche del lavoro, e la messa a punto di un mix appropriato di politiche attive e passive del lavoro. Ne deriva in particolare un ulteriore rafforzamento nei Paesi occidentali, Italia inclusa, dell’importanza delle politiche attive del lavoro, e della costruzione di un sistema integrato istruzione-formazione-lavoro, sia per garantire efficienza e competitività al sistema produttivo, sia per assicurare equità e coesione sociale.
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In linea con gli accordi intercorsi tra Stato e Regioni e tra Regioni e parti sociali, derivati dalle leggi nazionali n.2 e n.33 del 2009, si opera, tra l’altro, per ridurre al minimo i tempi di attesa per soddisfare le richieste di cassa integrazione in deroga, ed attivare tempestivamente ed efficacemente, vincendo molteplici difficoltà, percorsi di politica attiva a beneficio di cassintegrati e lavoratori in mobilità.
Alle politiche attive del lavoro può assegnarsi una molteplicità di obiettivi, tra i quali: accesso all’occupazione delle persone svantaggiate, riduzione delle disparità occupazionali, aumento della partecipazione al mercato del lavoro da parte di tutti quelli alla ricerca di un impiego, miglioramento dell’adattabilità di lavoratori e imprese, con promozione di sicurezza e qualità del lavoro (anche garantendo un’organizzazione del lavoro flessibile ma attenta alla sicurezza ed alla formazione permanente dei lavoratori, la compatibilità di vita lavorativa e sfera privata, grazie anche ai necessari servizi di assistenza, e la partecipazione dei lavoratori alla vita dell’impresa, nelle forme più appropriate).
Per tutto questo, sembra opportuno avviare un tentativo di valutazione di tali aspetti nella prospettiva del bene comune, che appare di grande rilievo per il mercato del lavoro e per le politiche che lo riguardano. Un mercato del lavoro ben funzionante, dotato di organismi, regole e controlli appropriati, che promuova pari opportunità di accesso, e assicuri sostegno alle situazioni di disagio, in vista del loro superamento, può ritenersi infatti componente centrale di una configurazione di bene comune; a sua volta, questo si può intendere, alla luce del Concilio Vaticano II, come il complesso delle condizioni che consentono il perfezionamento dei singoli e della collettività. Una configurazione che è assimilabile, sotto il profilo socio-economico, ad una situazione di sviluppo sostenibile, quindi attento all’equilibrio territoriale, alla coesione sociale ed alla protezione dell’ambiente, con l’obiettivo primario di assicurare la centralità della persona, la sua piena valorizzazione, la sua promozione “integrale”.
Nel volume “Le politiche attive del lavoro nella prospettiva del bene comune”, curato da Pierluigi Grasselli e Cristina Montesi, edito da Franco Angeli nel 2010, si cerca appunto di proporre una valutazione di tali politiche, attentamente analizzate sotto il profilo sia economico che giuridico, nella prospettiva del bene comune.
Se consideriamo i principali elementi, che possono essere ritenuti costitutivi di un “approccio orientato alla ricerca del bene comune”, fondato sui principi e sui valori della Dottrina sociale della Chiesa, e applicabile alle diverse aree della vita associata, può verificarsi come essi siano anche alla base di un funzionamento efficiente ed equo del mercato del lavoro, a sua volta ritenuto componente costitutiva di una configurazione di bene comune per i residenti in un territorio determinato.
Tra gli elementi suddetti ricordiamo: -condivisione di valori, obiettivi, risorse (per quanto richiesto agli attori, singoli o collettivi, chiamati a decidere e ad operare correttamente in un determinato comparto della vita associata: nel nostro caso, il mercato del lavoro); -attenzione ai meriti e alle necessità di tutte le persone a vario titolo interessate ad un determinato obiettivo o alla soluzione di uno specifico problema (nel nostro caso, la ricerca di un’occupazione), per assicurare, nel perseguimento di una combinazione compatibile dei criteri di merito, di giustizia e di un incontro efficiente tra domanda ed offerta di lavoro, la loro piena valorizzazione, con rispetto della loro dignità; -rafforzamento del tessuto delle relazioni tra gli attori suddetti, secondo una relazionalità positiva, ricercando il mix più appropriato di cooperazione e competizione, con un ruolo regolativo importante assegnato alla reciprocità (anch’essa “positiva”, orientata alla promozione della persona); -adozione di una razionalità “relazionale” (attenta all’esistenza e alle necessità degli altri) e “allargata” (confronto mezzi/fini vincolato al rispetto dei diritti fondamentali della persona); -ricorso diffuso alla partecipazione, diretta o indiretta, alle decisioni (sia per la definizione delle regole, che per il controllo della loro corretta applicazione e dei loro effetti), nelle modalità più opportune e praticabili (con impiego ove possibile delle forme più appropriate di governance), da parte di tutte le persone legittimamente interessate alle decisioni medesime; -impiego dei principi di solidarietà e sussidiarietà, correttamente intese.
In particolare, è evidente nei servizi per l’impiego, sia di primo che di secondo livello, l’importanza di fare attenzione alle caratteristiche delle persone alla ricerca di occupazione, o di un’occupazione migliore, e alle richieste da esse avanzate, nonché ai caratteri della domanda di competenze formulata dalle imprese. Considerazioni simili possono farsi per l’offerta di formazione professionale, in cui la personalizzazione si intreccia con l’integrazione tra le molteplici categorie di interventi a disposizione.
E’ altrettanto manifesta l’esigenza di una complessa rete di relazioni tra i vari soggetti pubblici e privati collegati al mercato del lavoro: tra coloro che domandano lavoro, le imprese che lo offrono, le istituzioni intermediarie, le istituzioni e i centri deputati a offrire istruzione e formazione: ciò è richiesto, ad es., per distribuire con efficacia tirocini in azienda, voucher formativi individuali, incentivi alle imprese a sostegno dell’occupazione. Più in generale, il miglior esito della attività dei Centri per l’impiego dipende dallo sviluppo di appropriate forme collaborative tra i soggetti sopra indicati. La cooperazione tra le istituzioni educative e formative e il mondo del lavoro può assicurare la coesistenza, nello stesso lavoratore, di competenze specialistiche, e di competenze funzionali all’adattamento ai nuovi scenari ed agli sviluppi innovativi, per il miglior coinvolgimento nei processi produttivi. Si giustifica così l’importanza di attuare un sistema integrato di progettazione e gestione delle politiche per l’impiego, sulla base dei fabbisogni occupazionali e formativi del territorio, per interventi personalizzati, con un’integrazione flessibile degli strumenti. Quanto alla razionalità richiesta da queste tipologie di processi, essa deve essere chiaramente di tipo “relazionale”; il suo corretto esercizio, in un contesto di dialogo, partecipazione, concertazione, implica inoltre un linguaggio comune, rappresentabile da un “approccio per competenze”. In corrispondenza, l’esigenza di coinvolgimento degli attori, della sfera istituzionale e di quella privata, e di collaborazione interistituzionale, richiede, come è stato suggerito (P.Botta, Isfol, 2008), una governance “interattiva”, che suppone coordinamento di strategie, condivisione di conoscenze, di strumenti e di pratiche, partecipazione, monitoraggio e valutazione.
Le indagini Isfol mostrano come questi requisiti non siano presenti in modo uniforme, né con intensità analoga, su tutto il territorio nazionale. Perciò si impongono, a livello sia regionale che provinciale, linee di intervento per una maggiore efficacia delle politiche attive del lavoro, sia nella direzione del reinserimento lavorativo degli espulsi dal processo produttivo, che in quella della predisposizione di percorsi personalizzati, da sottoporre poi a verifica ed aggiornamento. In proposito, si segnalano esigenze molto differenziate, con riferimento ai diversamente abili, ai disoccupati di lunga durata, alle altre persone in condizione di svantaggio sociale, alle attività di orientamento per i giovani, al persistere di molteplici differenziali di genere, alla conciliazione tra vita familiare e vita lavorativa, ai problemi molteplici posti dagli immigrati. In generale, è richiesta, come accennato in precedenza, un’attenzione crescente alle persone, e uno sviluppo appropriato delle relazioni tra gli attori, anche in direzione di uno sviluppo dei servizi alle imprese, per progetti integrati di formazione aziendale.
Queste considerazioni possono confermare l’importanza di una valutazione degli aspetti e delle politiche ricordate nella prospettiva del bene comune. Infatti, le criticità del mercato del lavoro chiedono interventi che appaiono in linea con i presupposti attribuibili ad un approccio orientato al bene comune.
Inoltre, assumere coscientemente la prospettiva del bene comune con riferimento al mercato del lavoro (che perciò auspico efficiente ed equo) può essere importante in quanto favorisca l’acquisizione della consapevolezza del comune beneficio che ne deriva ai cittadini, nonché dello spessore etico richiesto in corrispondenza, delle complementarità, sinergie e integrazioni, ma anche conflitti in gioco, e del tipo di razionalità necessario. La prospettiva del bene comune è una prospettiva di passione civile, di impegno per la città, di impegno per l’uomo.