La prima finanziaria targata Matteo Renzi sembra riuscire anzitutto nell’intento di dividere: una parte del Paese approva in particolare alcune misure, a cominciare dal Forum del terzo settore che la giudica «espansiva»; un’altra invece la condanna praticamente senza appello: basti pensare alla piazza San Giovanni di sabato 25 ottobre. A “leggerne” punti chiave e nodi critici è Leonardo Becchetti, ordinario di Economia politica alla facoltà di Economia dell’Università di Tor Vergata e direttore del corso di specializzazione in European Economics and Business Law.
Come valuta complessivamente la manovra? Crede si possa intravedere all’orizzonte una prospettiva di sviluppo, oltre, finalmente, la logica dei tagli?
Secondo me ci sono state tre fasi: quella del “rigore espansivo”, potremmo dire, nella quale si pensava che i tagli alla spesa avrebbero prodotto espansione dell’economia, ma questo non era realistico, ipotizzava troppa razionalità; poi si è passati al pareggio tra i tagli e la riduzione delle tasse, ma anche questo era recessivo; ora, almeno come idea, il governo ragiona sulla necessità di produrre un sostegno alla domanda superiore ai tagli. Questo principio c’è, poi in realtà si calcola che l’effetto sul pil sarà solo dello 0,1 per cento: l’espansione si verifica sul dato tendenziale, non su quello reale. Senza la manovra ci sarebbe stata una presunta contrazione, rispetto alla quale il governo ha allargato i cordoni della borsa, ma a prescindere da questo nelle tasche della gente è successo poco. Semplicemente, si è evitato quello che altrimenti sarebbe accaduto. Di fatto hanno ragione le due parti: si è capita la direzione del sostegno alla domanda ma lo sforzo che si riesce a fare è molto limitato, tanto che il governo stesso si aspetta poco da questa manovra. Il vero punto è che oggi tutto si decide in Europa dove occorre fare una battaglia per una politica sociale europea, spingendo la Bce ad avere più coraggio, e convincere che il pareggio strutturale è mania poco indicata in questo momento. Servono politiche fiscali europee espansive: armonizzazione fiscale, monetizzazione del debito, ma anche mutualizzazione e politiche di ristrutturazione del debito, che sono le uniche in grado di agire virtuosamente sul dilemma crescita/sostenibilità del debito.
Bonus di 80 euro, trattamento di fine rapporto in busta paga, regime fiscale agevolato per lavoratori autonomi, deduzioni Irap, riforma degli ammortizzatori sociali: sono solo alcune delle “novità” che in questi giorni hanno infiammato il dibattito. In concreto, cosa cambierà con l’approvazione della legge, specie sui versanti più difficili, vale a dire crescita e occupazione? Quali sono a suo avviso le misure che potrebbero rivelarsi più efficaci? E quali quelle sostanzialmente inutili e/o dannose?
Il bonus va nella direzione giusta ma è un intervento già visto, senza impatto molto forte, proprio perché la riduzione di tasse non è detto che rilanci la domanda di consumi: non si sa bene cosa accadrà in futuro, quindi non si tesaurizza questo guadagno. Tra l’altro ci sono molte critiche perché non si interviene sulle persone con le fasce di reddito più basse, per le quali ci vorrebbe un sussidio più che un bonus. Interessante il discorso del tfr, legato però alla speranza che gli italiani non scontino il fatto che è un’anticipazione rispetto a soldi che avrebbero avuto in futuro. Non sappiamo se questo avrà effetto sui consumi. Ancora, si è cercato di evitare che l’anticipo in busta paga abbia ricadute sulla liquidità delle imprese, attraverso una serie di prestiti bancari garantiti dallo Stato, ma non è automatico che questo accada. Dall’altra parte, non avrei buttato soldi sugli aumenti delle tasse per le slot-machine: occorre tassare quanto produce ludopatie, ma va approvata una riduzione molto forte dell’attività legata alle slot, con divieto di pubblicità, distanza dai luoghi sensibili e tutto quello che prevede la legge Binetti. Importante invece ridurre le tasse alle imprese e soprattutto l’Irap, molto costosa soprattutto per un impresa che ha molto personale ma non fa utili.
Riguardo ai tagli, come ad esempio la riduzione delle spese che interessano i vari ministeri, si poteva fare di più?
È fondamentale non tagliare capitoli sensibili come sanità e istruzione. Come dice lo stesso presidente della Bce Mario Draghi la spesa pubblica non va tagliata ma riqualificata, spostando investimenti dove l’impatto è alto e quindi si moltiplicano le risorse. Mi pare ad esempio che il governo sia poco attento al tema delle università: giusto dare attenzione alla scuola ma sicuramente non c’è la stessa sensibilità sull’università, dove c’è in ballo la questione di trattenere in Italia i nostri talenti. E le risorse che servirebbero sarebbero molte meno di quelle necessarie per i precari nella scuola o la riqualificazione dell’edilizia scolastica.
Nella legge si parla anche di contrasto alle ludopatie. Cosa significa la scelta di inserire questo tema in una finanziaria?
Al momento mi pare si insista molto sull’idea che chi lavora, come Comuni e Regioni, per diminuire l’impatto del gioco d’azzardo sulla popolazione, è accusato di “danno erariale”. Credo che questo sia sbagliato, e che sia stata grottesca la nota dei Monopoli di Stato che, in caso di approvazione della legge Binetti sul contrasto alle ludopatie, paventava un danno per le casse dello Stato pari tra i 9 e i 13 miliardi di euro. Contemplare nella manovra di stabilità il capitolo degli aumenti delle tasse in questo comparto prelude forse a un impegno meno forte del governo rispetto, appunto, alla legge Binetti, approvata all’unanimità in commissione Affari sociali e ora al vaglio della sostenibilità finanziaria. Sposta l’equilibrio verso una minore possibilità di approvazione.
Un altro capitolo riguarda le misure finalizzate a combattere il fenomeno dell’evasione fiscale. Che valutazione ne dà?
Mettere come imposta d’entrata questo è un azzardo ma la cifra stimata non è particolarmente rischiosa: dalla lotta all’evasione fiscale il governo Renzi conta di estrarre 3,8 miliardi di coperture. Certo, in questi anni è cresciuto il contrasto a questo fenomeno quindi è plausibile raggiungere questo obiettivo, anche perché è legato a un cambiamento di prestazione dell’iva che può portare risorse in più. È sicuramente un azzardo inserire tra le possibili entrate una imposta così incerta ma potrebbe andare in porto. Si potrebbe fare ancora di più poi abbassando la soglia del contante: sei il governo avesse questo coraggio tutto sarebbe più tracciabile e la lotta all’evasione più efficace. È una strada che si era intrapresa ma su questo poi si è tornati indietro.
Solo uno l’articolo che la legge dedica alle misure di welfare e sostegno alla famiglia. Forse un po’ poco? Di cosa ci sarebbe stato bisogno, a suo avviso?
Sembra ci sia un’attenzione del governo Renzi in questa direzione: la speranza è che si comincia ad attuare una sorta di quoziente familiare. Si parla di “bonus famiglia”: per la prima volta vediamo che il governo si rende conto che non esiste il contribuente-individuo perché ognuno è inserito in una rete di relazioni familiari, con tutto quello che questo comporta. Bisogna andare verso una fiscalità che favorisce la demografia, che diventa problema economico nel momento in cui si crea una struttura demografica squilibrata. In Francia, ad esempio, alcune politiche per la natalità hanno raggiunto l’obiettivo di alzare la soglia del tasso di natalità. Va in questa direzione l’idea del bonus bebè, ma per la famiglia servono misure più incisive, o sotto forma, appunto, di quozienti familiari o come agevolazioni di vario tipo, che potrebbero ridurre l’onere sulla famiglia. Questa prima attenzione è incoraggiante, ma bisogna fare di più per arrivare a risultati come quelli raggiunti, dicevamo, dalla Francia, in termini di sostegno alla natalità