La recente visita a Roma del sindaco di Bucarest, Sorin Oprescu, ha recato con sé segnali incoraggianti in direzione di un rafforzamento della cooperazione italo-romena, testimoniando implicitamente la rinnovata sintonia tra i due Paesi, dopo i momenti critici attraversati in un passato abbastanza recente. Non si è trattato, in queste circostanze, di una visita giustificata dalla mera cortesia protocollare; sono infatti state rese esecutive alcune delle proposte di cooperazione concordate in occasione del precedente incontro tra i sindaci delle due capitali.

In primo luogo, è stato inaugurato un ufficio ad hoc per la comunità romena che vive a Roma – un’iniziativa, questa, realizzata con il sostegno finanziario della municipalità di Bucarest.
Il nuovo “sportello”, nelle intenzioni dei promotori, dovrebbe assicurare ai romeni residenti nella capitale un più agevole e trasparente accesso ai servizi sociali e al mondo del lavoro; in termini più generali ed ambiziosi, esso si propone quale punto di riferimento e modello di interazione virtuosa tra le istituzioni locali e la comunità romena residente nel nostro Paese.

Il positivo interscambio realizzato tra Alemanno e Oprescu rafforza la cooperazione tra i comuni di Roma e Bucarest, agendo in forma autonoma e al tempo stesso sussidiaria rispetto alle dinamiche della collaborazione italo-romena operante a livello interstatale. I sindaci delle due capitali hanno fatto riferimento al principio della legalità quale condizione necessaria per un’integrazione efficace; con maggiore sobrietà e concretezza rispetto alle fasi più difficili del confronto italo-romeno, il richiamo alla legalità è apparso integrato all’interno di una visione progettuale di un certo respiro, divenendo un elemento di sintonia piuttosto che una fonte di potenziali incomprensioni tra le parti coinvolte.

Nei tre giorni (14-16 giugno) in cui si è svolta la visita di Oprescu a Roma sono stati realizzati alcuni eventi in ambito culturale, collocati nella cornice di un’iniziativa denominata“Romani Rumeni – la cultura ci unisce”. La sera 15 giugno, nella Piazza del Campidoglio, si è svolto uno spettacolo/concerto cui hanno preso parte alcuni importanti ensembles musicali provenienti dalla Romania; tale evento è stato ritrasmesso dalla Rai in seconda serata. Al di là del concreto impatto di questa manifestazione culturale nel palinsesto informativo, la decisione assunta dalla televisione pubblica costituisce, sul piano simbolico, un inedito risarcimento rivolto ai romeni che vivono in Italia. L’intensa copertura mediatica cui, negli anni passati, la comunità romena è stata sottoposta nel nostro Paese si è spesso realizzata in chiave stigmatizzante, avvenendo principalmente in concomitanza con eventi che hanno recato con sé allarme sociale; la serenità e le spinte a un’integrazione realmente partecipativa di numerosi romeni che vivono e lavorano in Italia ha non poco sofferto per l’esposizione agli input (in)controllati forniti dalla TV e dai giornali. Esiste un diverso approccio nel fare informazione e un diverso modo di proporre l’immagine di un popolo: un modo che si esprime anche nella ricerca del bello, che nella musica e nelle arti in generale trova un veicolo privilegiato di trasmissione .

In anni recenti, l’accresciuto dinamismo della cooperazione italo-romena in ambito culturale –ambito inteso in un’accezione ampia – ha svolto un ruolo carsico, per nulla appariscente e nondimeno non irrilevante nel contrastare alcune distorsioni mediatiche. Non solo gli istituti di cultura, ma università popolari e reti associative, attraverso numerose e variegate iniziative, hanno proposto un’immagine della Romania differente da quella frequentemente veicolata dal mainstream informativo. In questo quadro si può collocare anche l’inaugurazione a Roma, nel 2009, di quello che è stato ribattezzato come il “primo “centro commerciale romeno” presente in Italia: esso adempie infatti anche alla funzione di centro polivalente, nel cui ambito ha trovato spazio l’insegnamento della lingua e della cultura romena rivolto ad italiani.

Attualmente sono oltre 60.000 i cittadini romeni censiti come residenti nella provincia di Roma. Sul piano lavorativo, molti di questi cittadini continuano a svolgere ruolo essenziale nel settore dell’edilizia e dei servizi alle famiglie; tuttavia, un numero crescente di essi è presente nel terziario e nel settore del lavoro autonomo; ciò indica una tendenza da parte dei lavoratori romeni ad “emanciparsi” dalle occupazioni convenzionalmente associate a un modello d’“integrazione subalterna” proprio dei lavoratori stranieri, delineando un quadro occupazionale all’interno della comunità più articolato rispetto al recente passato.

Della numerosa comunità romena presente nella capitale, i rom costituiscono un segmento largamente minoritario. Essi rappresentano tuttavia il soggetto sociale cui sono stati rivolti i richiami e moniti sulle questioni della legalità e dell’integrazione da parte sia di Alemanno sia di Oprescu. Il focus del problema si identificherebbe de facto con la questione dei campi nomadi, dove circa 3.500 romanì di origine romena costituiscono dei “newcomers” che convivono con i rom provenienti dalla ex Jugoslavia, nel quadro di una coabitazione non sempre facile a causa delle differenze socio-culturali che intercorrono tra i due gruppi.

È relativamente noto che in Romania, ove pure è insediata la più numerosa comunità rom presente in Europa, non sono ammessi campi nomadi. Ciò è ben lungi dal significare che lì le popolazioni rom non siano oggetto di discriminazioni. La forzata sedentarizzazione realizzata negli anni del comunismo spesso non ha eliminato la segregazione abitativa (ad esempio, Ferentari, il quartiere ghetto più povero di Bucarest è abitato interamente da rom); né si può affermare che le politiche assimilatorie che sostanzialmente continuano ad essere perseguite dalle autorità romene abbiano condotto a una soddisfacente ’integrazione’ della popolazione rom, dal momento che una reale integrazione presuppone necessariamente dinamiche d’interazione bidirezionali e basate su una sostanziale convergenza di propositi tra i soggetti sociali coinvolti. Nella Romania odierna, i rom continuano a occupare gli ultimi gradini della gerarchia sociale. Il concitato sviluppo economico che ha investito il Paese nell’ultimo lustro ha offerto numerose opportunità di lavoro ben remunerato soprattutto ai giovani romeni dotati di un buon livello di educazione formale. Tale sviluppo sembra non aver coinvolto neppure tangenzialmente la comunità rom: una comunità “giovane” sul piano demografico, ma penalizzata da un basso livello di scolarizzazione dei suoi membri –elemento che contribuisce ad accrescere la sua marginalizzazione nel sistema sociale ed economico romeno, in assenza dei (pur grami) ‘standard minimi’ di welfare ad essa assicurati in epoca comunista. L’identità della comunità rom romena, al giorno d’oggi, appare comunque un’identità “ibrida”, in evoluzione, non fossilizzata né arroccata su posizioni autoreferenziali. La strada maestra nei confronti di questa comunità rimane quella dell’integrazione, rispetto alla quale la legalità rappresenta non tanto una precondizione quanto piuttosto un necessario corollario e una conferma dell’efficacia delle politiche messe in atto.

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