Il decreto sulla sicurezza recentemente approvato dalla Camera – dopo un tormentato iter legislativo disseminato di forzature – è stato già oggetto di numerosi interventi e di valutazioni fortemente critiche che solo in parte sono riuscite in itinere  a smussarne alcuni degli aspetti più chiaramente discriminatori.

A dispetto del nome attribuitogli, questo provvedimento non agisce in modo incisivo sulla sicurezza dei cittadini ma si configura piuttosto come un intervento teso a produrre un giro di vite rispetto ai diritti attribuiti all’insieme degli stranieri residenti in Italia. Se i provvedimenti anche controversi in materia di sicurezza presentano normalmente ombre ma anche luci (almeno riguardo agli intenti programmatici che si intende perseguire: la sicurezza è infatti un valore di tutti) il quadro proposto dalla legge appare sostanzialmente privo di aspetti positivi ed invece connotato da pesanti implicazioni negative sul piano dell’integrazione dei cittadini extracomunitari.rn

Se si volesse trovare una formula giornalistica – che già nei termini implicitamente declassa gli immigrati come soggetti di serie b, coerentemente con alcuni orientamenti sottesi al presente provvedimento – si direbbe che è una legge “tutta bastone” e “niente carota”. Non si introduce infatti alcuna distinzione tra comportamenti da sanzionare e comportamenti da incoraggiare, non si individuano percorsi sulla sicurezza sui quali associare o responsabilizzare gli immigrati; invece si rende questi ultimi sic et simpliciter oggetto di strategie punitive e di norme penalizzanti.

In breve, il “decreto sicurezza”propone una linea la quale, piuttosto che insistere sulla legalità come grammatica di convivenza civile, tende a colpire la categoria degli immigrati sui punti di maggiore delicatezza e vulnerabilità.

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Il reato di clandestinità introdotto nel presente decreto è tra gli aspetti più frequentemente evidenziati: è un open secret che larga parte degli immigrati provenienti da Paesi extra-UE giungano in Italia e vi permangano attraverso meccanismi legislativamente ‘eterodossi’, date le procedure macchinose e scarsamente realistiche previste per l’accesso al lavoro attraverso il meccanismo della chiamata nominativa e dell’iscrizione alle liste di collocamento consolari.

Il lavoratore immigrato in Italia è nella maggior parte dei casi un “ex irregolare” che ha mutato condizione spesso attraverso gli ordinari “decreti flussi” previsti annualmente: quest’ultimi, in modo legislativamente paludato ma nella pratica esplicito, rappresentano (a fianco delle regolarizzazioni e sanatorie propriamente dette) lo strumento convenzionalmente adoperato per la regolarizzazione degli immigrati residenti in Italia.

L’introduzione del reato di clandestinità ha un valore essenzialmente declaratorio che, sul piano operativo, difficilmente potrà produrre una politica conseguentemente tesa a perseguire in modo sistematico tale fattispecie “criminosa”, stante l’impossibilità di sovraccaricare il già faticoso funzionamento dell’apparato giudiziario italiano. Inoltre, data la evidente indisponibilità a modificare in un senso maggiormente realistico ed elastico le modalità di accesso degli extracomunitari al lavoro regolare in Italia – è evidente come i propositi del governo vadano in tutt’altra direzione – non verrà in alcun modo incentivata la possibilità, per uno straniero, di risiedere regolarmente in Italia.

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Al di là degli aspetti propagandistici, sarebbe errato ritenere che l’introduzione del reato di immigrazione clandestina sia priva di conseguenze: ne avrà, sul piano dell’accesso dei diritti ma ancor più su un piano psicologico, diffondendo paura e insicurezza tra gli immigrati, in particolare tra coloro che si trovano in mezzo al guado, in attesa di regolarizzazione. Anche dinanzi all’eliminazione delle norme più platealmente ingiuste come quelle sui cosiddetti “medici spia” e “presidi-spia” le cose sembrano destinate a procedere nella direzione delineata: la paura, verosimilmente, imporrà a molti di astenersi ad accedere a servizi essenziali, teoricamente loro garantiti. Il clima di diffuso sospetto verso gli immigrati             quale emerge negli orientamenti prevalenti nel governo – e che ben si riflette nello spirito del provvedimento – è in grado di produrre abusi gravi e difficilmente controllabili.

Alcune settimane fa – quando si dibatteva in parlamento sull’opportunità di introdurre la norma sui “medici spia” – ha fatto la sua fugace apparizione tra le cronache il caso di una donna richiedente asilo (e pertanto soggiornante in Italia a titolo regolare) la quale, a seguito di una segnalazione, è stata condotta per accertamenti dalle autorità di pubblica sicurezza poco dopo aver dato alla luce il proprio bambino.  

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Su un piano legislativo, il “decreto sicurezza”, oltre ad agire in modo improvvido sugli immigrati irregolari, introduce un mutamento in senso radicalmente restrittivo della normativa riguardante gli stranieri regolarmente soggiornanti: vengono infatti limitati i ricongiungimenti familiari – rendendo più restrittivi termini e requisiti per richiederli – così come viene sostanzialmente scoraggiata l’acquisizione della cittadinanza.

 Un aspetto emblematico della politica adottata verso i “regolari” è incarnato dalla decisione di imporre un balzello di importo tutt’altro che simbolico sull’espletamento delle pratiche per i permessi di soggiorno: è previsto il pagamento di una tariffa dagli 80 ai 200 euro per il rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno e di 200 euro per ottenere la cittadinanza. E’ francamente poco plausibile trovare una spiegazione a una simile misura che non riconduca a una pressione punitiva nei confronti dell’insieme degli stranieri presenti in Italia.

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Alla luce di tutto ciò, non ci si può esimere dal concordare con il presidente Napolitano quando parla di accenti pericolosamente xenofobi incorporati nel dibattito politico. A questo proposito, le stesse cosiddette boutades della Lega Nord non vanno sbrigativamente liquidate come tali. Un’idea piuttosto bizzarra come quella proposta un mese fa da un’esponente leghista sull’opportunità di creare “posti separati” per non milanesi sulla metro di Milano è qualcosa di differente da un’esternazione folkloristica: soprattutto se si considera l’affiliazione partitica del titolare dell’Interno, al cui importante imprimatur rimanda il “decreto sicurezza”. Su un piano meno apparentemente provocatorio, a una simile falsariga rimandano le ricordate proposte – in seguito cassate – sui “presidi spia” e “medici spia”. Anche quando non ottengono un riscontro conseguente, tali interventi possono avere l’effetto di preparare il campo al successivo sviluppo di politiche nella direzione delineata: si ‘sdogana’ un tema e lo si banalizza; l’opinione pubblica guadagna dimestichezza con alcune idee e comportamenti pubblici precedentemente ritenuti non accettabili o scarsamente plausibili.

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Le questioni evidenziate in merito al testo sulla sicurezza non dovrebbero limitarsi a sollecitare un impegno per limitare i danni prodotti da tale provvedimento. Si tratta di proporre una ratio politica e legislativa nella quale il rispetto per la dignità delle persone – e quindi anche della dignità dei migranti – acquisti centralità. Nel merito, l’assunzione di questa ratio rispetto ai provvedimenti sull’immigrazione, lungi dal collidere con la difesa della sicurezza, consente di associare a questo obiettivo gli immigrati stessi. Politiche che intendono marginalizzare, produrre steccati umilianti e faticosi da superare, sono molto discutibili sul piano morale e umano; ma spesso rischiano di divenire persino irrazionali o incongruenti rispetto agli obiettivi che ufficialmente si dichiara di perseguire.

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