Già i grandi giuristi romani – che certo non erano cristiani (all’epoca) e ben conoscevano l’omosessualità – affermavano che è la natura ad insegnare che il matrimonio è l’unione di un uomo e di una donna, la maris atque feminae coniunctio (Digesto 1.1.1).
Consentire a persone dello stesso sesso di contrarre matrimonio significa, invece, manipolare e stravolgere le caratteristiche essenziali dell’istituto.
Solo un’impostazione relativista e positivista – per la quale il legislatore potrebbe considerare l’estate come l’inverno, le penne biro come apparecchi radiotelevisivi o gli alberi come palazzi (e viceversa) – ammette che il legislatore possa fare tutto ciò che vuole.
Se si ritiene, invece, com’è ragionevole, che il legislatore sia tenuto a rispettare la natura delle cose, come emerge nella realtà dei fatti, il matrimonio tra persone omosessuali costituisce una vera e propria contraddizione con quanto suggerito dalla stessa natura.
Si consideri, oltretutto, che la famiglia fondata sul matrimonio (uomo-donna) gode di un regime speciale. Esso dà vita a privilegi, che gravano in modo significativo sulla spesa pubblica e, dunque, su tutta la comunità, che anche merita tutela.
I privilegi e le garanzie si giustificano in ragione dell’impegno che i coniugi assumono con il matrimonio e della funzione che la famiglia ha in seno alla società: fondamento della vita sociale e civile, secondo una concezione radicata nel tempo, che già Cicerone esprimeva con la locuzione principium urbis et quasi seminarium rei publicae.
Come sottolineavano ancora i Romani – ecco, dunque, l’altro profilo da considerare – dall’unione di un uomo e di una donna discende la procreazione e, conseguentemente, l’educazione della prole.
Se la famiglia funziona crescono, come regola, cittadini consapevoli dei loro diritti e anche dei loro doveri, i quali non solo lavoreranno per pagare le pensioni degli anziani, ma svolgeranno tutte quelle funzioni necessarie perché la società prosegua la sua storia e una comunità continui a vivere.
Al regime suddetto, nello Stato di New York, possono, in forza della nuova normativa, accedere anche le coppie omosessuali: con la conseguenza, da un lato, di penalizzare i single o quei conviventi (si pensi a due sorelle, due amici), che pur uniti da un grande amore, non hanno tendenze omosessuali e, dunque, non intendono “sposarsi”; dall’altro, di ridurre i benefici di cui gode la famiglia uomo-donna, che sarà posta sullo stesso piano delle unioni omosessuali “coniugate”.
Di fronte a queste considerazioni non può invocarsi, come invece alcuni quotidiani hanno fatto in questi giorni, il principio di eguaglianza. Dal momento che tale principio risulta violato non solo quando si dà un trattamento diverso a situazioni eguali, ma anche quando si impone la stessa disciplina a situazione diseguali, esso esige che la famiglia (fondata sul dimorfismo sessuale) e le unioni omosessuali siano assoggettate a regimi differenti.
* Professore straordinario di diritto costituzionale, Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Europea di Roma