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Il centro di ricerca Memorial, che ha sede a San Pietroburgo, fin dalla sua fondazione lavora nel tentativo di salvare «la memoria delle vittime delle repressioni sovietiche, nel rispetto dei diritti umani e nel monitoraggio dello sviluppo democratico della Russia post-sovietica».

Impegnato su più fronti (fino alle recenti denunce di violazioni da parte dell’esercito russo in Cecenia), il centro è arrivato alla candidatura al Premio Nobel per la pace nel 2007 e nel 2008. Adesso tutti i dischi rigidi e i supporti dati, in seguito a una perquisizione del 4 dicembre scorso su mandato della procura di San Pietroburgo, sono stati sequestrati. Secondo un appello lanciato dal centro di ricerca, un lavoro durato venti anni rischia di sparire. La stessa vita del centro è a rischio.rn

Il motivo della perquisizione sarebbe un presunto finanziamento (poi smentito dall’istituto stesso) del giornale Novyj Peterburg, esponente di primo piano nell’opposizione al governo russo; altro motivo sarebbe inoltre l’appoggio della Marš nesoglasnych (manifestazioni contro la politica putiniana represse dalla polizia e seguite da numerosi arresti). Tra i materiali confiscati dovrebbero essere presenti informazioni bibliografiche riguardanti 50.000 vittime delle repressioni staliniane, 11 hard disk, diari, risultati di ricerche, racconti orali su supporti elettronici, oltre 10.000 fotografie. «Il sequestro dei dischi rigidi di Memorial mette a repentaglio l’esistenza stessa del Centro – si legge ancora in un comunicato diffuso nei giorni scorsi da Memorial Italia – soprattutto il materiale contenuto negli archivi della sede pietroburghese, informatizzato e sistematizzato su quei computer. Cento anni di storia russa sono in questo momento a rischio».

Tra le agenzie russe, a partire da giovedì scorso, si è iniziato a parlare di una possibile restituzione del materiale, che potrebbe avvenire nella giornata di lunedì. È evidente che la situazione è attualmente in piena evoluzione, ma non è solo questo il punto. Non è solo questo, anche se i materiali venissero immediatamente recuperati.

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Il fatto è passato in secondo piano sui nostri quotidiani nazionali: in moltissimi casi praticamente ignorato. Il centro in questione, si consideri, è ben legato all’attività divulgativa di alcuni ricercatori e studiosi italiani. L’importante d’altronde, quando si parla di Federazione Russa, per noi, è ovvio, è riprendere a tutto campo le strette di mano tra i Putin, i Berlusconi e i Medvedev di turno. Al limite, aprire un lungo ed estenuante dibattito sulle gaffe del premier nostrano riguardo all’abbronzatura di capi di Stato altrui. Del resto, un’altra faccia della stessa medaglia è anche questa: si parla ultimamente di finanziamenti alla ricerca (inclusa quella umanistica, e pertanto anche quella storica). Perché in fondo di questo interessa parlarne, sembra ovvio, e avere un’opinione più o meno precisa al riguardo; in quali fronti sia impegnata e cosa difenda, la ricerca, su piani che talvolta vanno ben oltre l’individualità nazionale, sembrerebbe proprio così, interessa davvero meno, evidentemente, e un po’ a tutti.

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Sul sito di Memorial Italia è disponibile il testo dell’appello.
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